L’ Associazione Amiche e Amici dell’Accademia (AAA) di Medicina di Torino ed il Segretariato Italiano Studenti in Medicina (SISM) di Torino: “leggere i segni della violenza”

di Piergiacomo Oderda

 

 

L’Associazione Amiche e Amici dell’Accademia (AAA) di Medicina di Torino ed il
Segretariato Italiano Studenti in Medicina (SISM) di Torino organizzano una
conferenza on line dal titolo“leggere i segni della violenza”. L’incontro si
svolgerà sulla pagina Facebook dell’Associazione lunedì 15 marzo alle ore
17.30 (www.facebook.com/AAAMedicinaTorino).

Melania Sorbera intervista la Presidente dell’Associazione, dott.ssa Gabriella
Tanturri, per Medical Excellence Tv. Quali sono i segni fisici della violenza? Il
tema non riguarda solamente ginecologhi e ginecologhe, «la violenza non è
solo sessuale, può esercitarsi in modalità che fanno sì che moltissime specialità
mediche siano coinvolte nell’identificare e riconoscere i segni di violenza».
Come medico che fa anche Pronto Soccorso per la sua specialità di
otorinolaringoiatria, la dott.ssa Tanturri ha visto spesso segni di lesione da
violenza «come la frattura del timpano da schiaffo e da pugno sull’orecchio, le
fratture nasali», sino ad arrivare «ai tentativi di strangolamento come frattura
di un piccolo osso in alto sul collo mediano, l’osso ioide, perché le persone
vengono prese spingendo verso l’alto». Un’altra specialità interessata è la
radiologia, l’ortopedia, l’oculistica, «i pugni sugli occhi possono procurare
lesioni». La giornalista si interroga sul «modo di individuare segni di violenza in
maniera specifica». Un certo tipo di lesioni sono patognomiche della violenza.
Per altre, «un criterio diagnostico che ci può orientare nel riconoscimento è il
numero di accessi al Pronto Soccorso». Pone il caso di una persona con frattura
costale che adduca la causa in una caduta violenta contro lo spigolo del bagno
ma «se comincia ad arrivare una seconda volta con lo stesso tipo di lesione»,
scatta un campanello d’allarme. La dott.ssa Tanturri raccomanda «un
atteggiamento meno giudicante possibile. Siamo di fronte a persone
estremamente fragili che vivono una situazione di paura». Una strategia
consiste nel «lasciar fuori l’accompagnatore, spesso chi accompagna può
essere il carnefice, l’autore della violenza».
L’incontro del 15 marzo intende proporre un momento di formazione per un
pubblico variegato ma i fruitori principali sono studenti in medicina, giovani
medici, operatori sanitari. I relatori sono «persone che hanno una grandissima
esperienza nel settore»: Paola Castagna, responsabile del Centro Soccorso
Violenza Sessuale dell’ospedale S. Anna di Torino, Gianluigi D’Agostino,
Presidente della Commissione Albo degli Odontoiatri di Torino, Maria Teresa
Sorrentino, Dirigente Medico Spec. Radiologia della Città della Salute di Torino,
la stessa dott.ssa Gabriella Tanturri, già Direttrice Struttura Semplice Day
Surgery ORL (otorinolaringoiatria), Città della Salute di Torino e la dr.ssa
Cristina Biglia, che opera nei consultori come referente territoriale della Rete
antiviolenza.
Alla domanda sulle fasce sociali più colpite, la dott.ssa Tanturri è lapidaria, «la
violenza è trasversale a tutte le classi sociali, a tutti i livelli culturali», persino
una sua collega cercava di nascondere il fatto che subisse violenza dal marito.
La pandemia ha rappresentato una situazione in grado di far emergere la

problematica, le Nazioni Unite hanno parlato di “pandemia ombra”. Sono
aumentati i femminicidi, «l’unico dato amministrativo sicuro». Un altro dato è
rappresentato dagli accessi al numero nazionale 1522, in particolare di notte e
nelle prime ore del mattino. Gli operatori hanno garantito «supporto, aiuto,
consigli a tantissime persone che non potevano rivolgersi ai centri
antiviolenza». Nell’economia italiana, le donne sono più facilmente esposte a
lavori precari; spesso, durante il lockdown l’hanno perso, aumentando la
condizione di dipendenza. Inoltre, il momento di lavoro fuori casa era un
momento di ristoro, «costrette ad una convivenza di ventiquattr’ore su
ventiquattro, molte situazioni sono precipitate». Quanto ai segni di violenza
psicologici, spesso all’interno dell’ambito familiare, sono più difficili da far
emergere. In un’intervista con Riccardo Thomas di Mondo sanità, la dott.ssa
Tanturri spiega come si abbia a che fare «con persone terrorizzate che hanno
paura delle conseguenze di un’azione di denuncia. In famiglia ci sono i figli. La
denuncia comporta anche una frattura di altri componenti che fanno parte della
sua rete di sostegno affettiva».
Con Livia Tonti di Md-digital, la dott.ssa Tanturri aggiunge un dato numerico.
La prima indagine Istat che ha rilevato dati sul fenomeno è stata nel 2006, la
seconda nel 2014. E’ stata fondamentale la collaborazione di tante strutture,
centri antiviolenza, col supporto di vittime di violenza che hanno suggerito
strategie. Le donne che hanno subito violenza nella fascia d’età tra i 16 e i 70
anni ammonta a 14.3%. Pertanto, se un medico di famiglia ha 1000 pazienti
avrà 65-70 casi di donne coinvolte. «La loro società scientifica, la Società
Italiana di Medicina Generale (SIMG), ha elaborato un progetto» presentato nel
2014 (Progetto Vìola) con l’intento di «cercare di far emergere il problema
attraverso il colloquio clinico». Il problema successivo è come dare una
risposta indicando centri specializzati di riferimento. La Regione Piemonte ha
finanziato con la legge 4/2016 i Centri antiviolenza e le Case rifugio. «Lì
entrano in anonimato e vengono aiutate successivamente a ricostruirsi la vita,
a trovarsi un lavoro, ad imparare ad avere un “budget”, sono personalità da
ricostruire integralmente».
Giorgia Martino del SISM interviene nell’intervista curata da Livia Tonti,
«Saremo i medici di domani e dovremo saper riconoscere i segni di violenza».
Per Diletta Zummo, vicepresidente dell’Associazione AAA di Medicina di Torino,
«il primo approccio con la donna vittima di violenza, i primi segnali sono a
livello ambulatoriale o di Pronto Soccorso, i primi lavori di un neolaureato in
medicina, le classiche “sostituzioni”. Sono in grado di riconoscere una donna
che ha subito violenza, di aiutarla in modo adeguato e di dare le informazioni
necessarie in continuità col territorio?».

 

NELLA FOTO

Diletta Zummo, vicepresidente dell’Associazione AAA di Medicina di Torino

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