Accademia di Medicina di Torino: martedì 8 febbraio riunione scientifica “La depressione nell’anziano”

di Piergiacomo Oderda

Martedì 8 febbraio alle ore 21, l’Accademia di Medicina di Torino organizza una
riunione scientifica, sia in presenza, sia in modalità webinar, dal titolo “La
depressione nell’anziano”. L’incontro viene introdotto da Francesco Scaroina,
Primario emerito di Medicina Generale e Segretario generale dell’Accademia. I


relatori sono Vincenzo Villari, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze e
Salute Mentale e della Struttura Complessa Psichiatria e socio dell’Accademia e
Gianluca Isaia, Geriatra presso l’Ospedale Molinette di Torino e prossimo
Presidente della Società di Geriatria e Gerontologia Piemonte Valle d’Aosta.
Entrambi prestano servizio preso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della
Salute e della Scienza di Torino.
Giorgia Catalano di Wrnradio.eu intervista Gianluca Isaia. «Sicuramente si
troverà ad affrontare situazioni delicate, difficili» esordisce la conduttrice del
programma “L’Isola che non c’è”. «Fare questo mestiere, quello del medico, in
generale è molto complesso. Approcciarsi alla cura delle fasi della vita più
avanzate è ancora più difficile per la complessità del paziente che solitamente
non ha una sola malattia. Quando lo si cura, anche in regime di acuzie
ospedaliera, bisogna pensare alla patologia per cui il paziente è entrato in
ospedale, a tutte le comorbilità di cui esso soffre». Aggiunge un fattore di
complessità: «le fasi più avanzate della vita sono di difficile gestione anche dal
punto di vista comunicativo per i parenti, i familiari che spesso considerano i
loro genitori invincibili, imbattibili, a volte bisogna essere anche un po’
psicologi per comunicare certe diagnosi».
Giorgia Catalano apre sul tema della demenza senile: «E’ così tanto diffusa ed
è vero che colpisce soprattutto le donne?». «La demenza è una condizione
clinica molto diffusa in tutto il mondo. Il principale fattore di rischio è l’età, più
si invecchia più aumenta la probabilità di soffrirne; è altrettanto vero che il
sesso femminile rappresenta un altro fattore di rischio, di Alzheimer in
particolare. La malattia di Alzheimer ricopre circa il 60% di tutte le forme di
demenza. Il 23% delle donne molto anziane (over 85, 90 anni) soffre di
malattia di Alzheimer contro il 17% degli uomini di pari età. Se si guardano i
numeri assoluti, le donne tendono a vivere più a lungo per cui è più probabile
trovare una donna malata rispetto a un uomo. Sulla popolazione mondiale,
circa l’8% di ultra 65enni è affetto da deterioramento cognitivo e il 20% degli
ultraottantenni, quindi un ottantenne su cinque nei paesi dove l’età media è
più alta, i paesi industrializzati, soffre di demenza. Stiamo parlando di numeri
enormi. Nel 2010 erano 35 milioni di affetti da demenza senile nel mondo, nel
2030 saranno il doppio, nel 2050 il triplo. In Italia, abbiamo circa un milione di
malati di demenza di cui 600 mila malati di Alzheimer». Il dott. Isaia rivolge
l’attenzione a chi segue i pazienti, familiari, operatori sanitari. «Si tratta di tre
milioni di persone dedicate ad un milione di persone affette da demenza. Non
si può considerare questa come una patologia di poco conto o marginale, i soli
costi per l’assistenza diretta oscillano tra i nove e i sedicimila euro l’anno a
seconda dello stadio di malattia. Solo per il nostro Paese stiamo parlando
quindi di dieci, dodici miliardi all’anno complessivi».

«Quali sono i sintomi che potrebbero far pensare ad una demenza senile?».
«La perdita di memoria è il sintomo che più spesso viene associato alla
demenza perché è più evidente, tutti se ne accorgono istantaneamente.
Tuttavia è solo uno dei possibili sintomi che possono presentarsi nell’evoluzione
di questa patologia che parte da uno stadio molto lieve che passa sotto traccia
di cui nessuno si accorge, nemmeno i familiari più stretti, fino ad arrivare a
forme più gravi. Tra i vari sintomi possiamo trovare la difficoltà ad eseguire
compiti anche semplici come un calcolo matematico quando si va a fare la
spesa per prendere il resto o la formulazione di frasi complesse, articolate. E’
tipico il caso di chi riduce la complessità dei piatti che cucina, passando a piatti
molto semplici che non richiedono la necessità di cottura. Questa situazione
viene derubricata anche dai famigliari come la conseguenza della solitudine o
di una lieve depressione che induce la persona a mangiare un po’ di meno. E’
un errore non porsi il problema che possa trattarsi di qualcosa di più serio
rispetto alla semplice solitudine. Poi il calo o la perdita di interessi può essere
considerato un sintomo. Più o meno all’improvviso non si trova più alcun
interesse a fare o seguire attività che prima erano molto apprezzate».
L’apatia è uno dei sintomi di esordio. «Vi sono altri sintomi più gravi che
insorgono nelle fasi moderate o più avanzate come la perdita delle capacità
funzionali, i malati non sono più in grado di provvedere autonomamente alle
proprie necessità anche elementari, pettinarsi, lavarsi i denti, vestirsi oppure
hanno degli episodi saltuari di disorientamento. Escono di casa, vanno a fare la
spesa e quando è il momento di tornare indietro sbagliano due o tre volte il
percorso. Sintomi nettamente più severi insorgono nelle fasi avanzate, passano
dall’insonnia fino all’agitazione o all’aggressività verbale e fisica. Questa
situazione spiazza i familiari che non sanno come gestire queste situazioni
dirompenti e acute, li portano in Pronto Soccorso dove non si può fare a meno
di operare una terapia sedativa per proseguire con un ricovero. Sia la terapia
sedativa in acuto che il ricovero ospedaliero sono condizioni che di fatto
pregiudicano ulteriormente le capacità di recupero dei pazienti, non sono una
soluzione».
«In quale fascia d’età statisticamente possono comparire i primi sintomi di
Alzheimer?». «La fascia d’età di esordio va dai 65 anni ai 70 anni con dei
distinguo notevoli in base alla caratteristica della malattia. La malattia di
Alzheimer se sorge in un contesto di familiarità alla patologia di Alzheimer cioè
laddove ci sia già stata una storia nella famiglia può esordire precocemente.
Per altre forme di Alzheimer o nelle altre forme di demenza che sono anche
molto diffuse come la demenza vascolare che è la conseguenza di una serie di
comorbilità di tipo vascolare come ipertensione, diabete, colesterolo l’esordio
avviene in età più avanzata, dopo gli 80 anni.
Non bisogna sottovalutare i primi sintomi altrimenti ci si adatta all’agesimo, a
considerare che sia normale per l’età avere un po’ di perdita di memoria poi
alla fine senza quasi accorgersene ci si ritrova ad avere sintomi maggiori

contro i quali non c’è nulla da fare in acuto se non rivolgersi all’ospedale che
non è una soluzione risolutiva».
«Esistono delle cure che siano efficaci contro la demenza senile, si può fare
prevenzione?». «Esistono dei farmaci che prevedono da scheda tecnica
l’indicazione al trattamento della malattia da Alzheimer. Questi stessi farmaci
vengono usati per curare le altre forme di demenza come quella vascolare. E’
bene ricordare che nessun farmaco al momento presente in commercio
permette una regressione dei sintomi e una vera guarigione. Si tratta di
terapie il cui scopo dichiarato in origine sta nel rallentare l’evoluzione dei
sintomi che inevitabilmente prima o poi si manifesteranno. Quindi la
prevenzione e la terapia non farmacologica rappresentano due armi valide ed
efficaci per ridurre ulteriormente la sintomatologia, rallentare la progressione
di malattia. Per prevenzione si intende già agire in età giovane e adulta
allenando il cervello al ragionamento, a ricordare, a superare prove cognitive
che non sempre la routine quotidiana ci permette di affrontare. Superata l’età
scolare che è l’unica fascia di età in cui si riesce ancora ad allenare il cervello,
entrando nel mondo lavorativo, sono ben poche le professioni che danno
stimoli continuamente. Allenare il cervello significa aumentare il numero di
neuroni, aumentare la loro plasticità, la loro elasticità, in modo tale che siano
più resistenti in caso di esordio di malattia. Poi c’è la terapia non farmacologica
che è un atteggiamento condiscendente nei confronti dei sintomi più gravi,
anche per le forme più severe. Significa evitare di contraddire i malati quando
fanno affermazioni fuori contesto anche perché questo non permetterebbe un
apprendimento ma aumenterebbe soltanto la sensazione di disagio favorendo i
disturbi di comportamento. Sono necessari ambienti familiari che infondono
sicurezza come avviene in alcune case di riposo dove vengono ricreate
ambientazioni tipiche della vita reale. Sono fondamentali per tranquillizzare,
creare un contesto in cui il paziente si senta accettato e a proprio agio. La
sinergia tra farmaci, trattamenti non farmacologici è al momento la migliore
strategia terapeutica che disponiamo».
L’intervista può essere ascoltata al link
https://www.mixcloud.com/giorgiacatalano50/lisola-che-non-ce-17-gennaio-
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solo/?fbclid=IwAR1EGtKDLINkxpZ57AC2lxuKSp3Ziu8pVP-
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