I 10 principali errori nella diagnosi dell’infertilità femminile e maschile

Ne abbiamo parlato con il dottor Ruggero Comi, specialista in Ginecologia e Ostetricia del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi – convenzionato con il S.S.N. – degli Istituti Clinici Zucchi di Monza, del Gruppo San Donato

L’infertilità in Italia riguarda circa il 15% delle coppie mentre, nel mondo, circa il 10-12%[1].  Si tratta di una patologia sempre più diffusa, le cui cause sono da ricercare al 35-40% in problematiche della partner femminile e nel 30-40% dei casi nelle condizioni del partner maschile, mentre in circa il 20% dei casi si parla di “infertilità sine causa” o “infertilità idiopatica”, definizione utilizzata quando non è possibile identificare una causa precisa dell’infertilità. 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera l’infertilità una patologia e la definisce come l’assenza di concepimento dopo 12/24 mesi di regolari rapporti sessuali mirati non protetti, in base all’età della donna. Proprio perché la fertilità della donna subisce un rapido declino a partire dai 35 anni e si esaurisce drasticamente dopo i 40-42, è necessario affrontare un iter diagnostico e terapeutico nei tempi e soprattutto nei modi corretti.

“In fase di diagnosi dell’infertilità vi sono esami e test indispensabili da effettuare per arrivare rapidamente alla diagnosi e alle proposte terapeutiche e altri che, al contrario, non recano particolari benefici.” spiega il dottor Ruggero Comispecialista in Ginecologia e Ostetricia del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi degli Istituti Clinici Zucchi di Monza, del Gruppo San Donato. “Secondo un recente studio scientifico[2]condotto in otto ospedali pubblici e privati del Nord Italia, molti ginecologi non sono realmente consapevoli del peggioramento della prognosi riproduttiva con l’avanzare dell’età: il 56% degli intervistati, ad esempio, considera “non rara” la possibilità per una donna di concepire in maniera naturale tra i 44 e i 50 anni. Il rischio è che questi medici possano consigliare alle loro pazienti una strategia di attesa, anziché indirizzarle nei tempi corretti verso la diagnosi e l’eventuale cura”.

Vediamo quindi quali sono i principali comportamenti che possono influenzare negativamente l’iter diagnostico dell’infertilità.

1.    Suggerire la strategia dell’attesa sebbene la coppia stia cercando di concepire in maniera naturale da oltre 12 mesi

Se una coppia sta cercando di concepire in maniera naturale senza successo da oltre 12 mesi, è necessario rivolgersi a un ginecologo esperto in medicina della riproduzione, per accertarsi che non vi siano cause di infertilità femminili e/o maschili. Se la donna ha un’età superiore ai 35 anni, è bene indirizzarla verso l’iter diagnostico già dopo 6 mesi di tentativi di concepimento naturale falliti. Pertanto, il medico di base o ginecologo che suggerisce una strategia dell’attesa, in questi casi, sta sottovalutando il problema impedendo una diagnosi precoce e una possibile risoluzione tempestiva del problema.

2.    Prendere in considerazione solo la partner femminile della coppia

Ancora troppo spesso gli sforzi diagnostici si concentrano prevalentemente sulla partner femminile mentre, come abbiamo visto, nel circa 50% dei casi la causa prevalente di infertilità o comunque una causa associata è da ricercare nel partner maschile. Tra gli esami diagnostici di base da prescrivere ad una coppia affetta da sterilità deve essere presente l’analisi del liquido seminale, o spermiogramma.

3.    Prescrivere testosterone o prodotti a base di testosterone agli uomini che desiderano avere un figlio

La terapia con testosterone è ampiamente utilizzata come trattamento per l’ipoandrogenismo  (livello di testosterone troppo basso) e sintomi associati, come la disfunzione sessuale. Tuttavia, è ben noto che l’assunzione di testosterone esogeno e di altri androgeni possono portare a una produzione spermatica ridotta o addirittura assente, a un basso numero di spermatozoi e all’infertilità. Questi sintomi purtroppo non sono sempre reversibili, anche dopo aver interrotto la somministrazione di androgeni.

4.    Inserire la laparoscopia diagnostica nella routine diagnostica dell’infertilità sine causa

Inserire la laparoscopia in ogni iter diagnostico di infertilità è discutibile. Certamente  questa indagine invasiva ci permette di fare una precisa diagnosi sulle cause di sterilità femminile, compresa la documentazione di esiti di pregresse infezioni pelviche, la presenza di endometriosi o altre patologie pelviche. Tuttavia, in considerazione del fatto che la maggior parte dei motivi di sterilità hanno come indicazione terapeutica la fecondazione in vitro, al giorno d’oggi si discute molto sulla effettiva necessità di questo approccio diagnostico invasivo, salvo nelle coppie che rifiutano la terapia mediante Procreazione Medicalmente Assistita.

5.    In fase di valutazione iniziale dell’infertilità di coppia, eseguire test avanzati di funzionalità dello sperma

Lo spermiogramma rappresenta oggi, pur con tutti i limiti della sua valutazione che risente di molti fattori esterni (dall’astinenza alla temperatura, dall’assunzione di farmaci allo stress) l’esame principale di base per definire la presenza di un fattore maschile di sterilità. Esistono analisi avanzate di funzionalità dello sperma per cercare di misurare la capacità degli spermatozoi di fecondare la cellula uovo in vitro, quali il “test dell’emizona” e il “test della penetrazione spermatica”. Al giorno d’oggi i risultati di questi test sono molto discussi, specie in considerazione della loro complessità e costo, a fronte di una non evidente correlazione con la reale capacità fecondante dello spermatozoo.

6.    Eseguire un test postcoitale per la valutazione dell’infertilità di coppia

Il post-coital test (PCT), o test di Hühner, è un esame di laboratorio messo a punto agli albori della diagnostica di sterilità per cercare di identificare la presenza di un “fattore cervicale” di sterilità in grado di influenzare negativamente la motilità degli spermatozoi nel muco cervicale ovulatorio.  Al giorno d’oggi l’esame ha perso di ogni significato clinico e diagnostico.

7.    Eseguire di routine un test di trombofilia in fase di valutazione iniziale di infertilità

Se l’anamnesi raccolta con attenzione è negativa, non vi è alcuna indicazione e non vi sono benefici dimostrati nel sottoporre i pazienti che non hanno alcuna storia di sanguinamento, coagulazione anomala o storia familiare a questi test,  costosi e spesso richiedenti tempi lunghi per la loro realizzazione.

8.    Eseguire test immunologici come parte della valutazione di routine dell’infertilità

Il test diagnostico di routine dell’infertilità comprende lo studio ormonale dell’integrità dell’asse ipofisi-ovaio e la conseguente valutazione dell’ovulazione, lo studio del partner maschile mediante lo spermiogramma e la verifica della pervietà delle salpingi. Sebbene i fattori immunologici possano influenzare l’impianto dell’embrione, i test immunologici vanno riservati a casi specifici in cui è documentata una alterazione dei normali meccanismi di tolleranza immunologica (per esempio nelle pazienti affette da malattie autoimmuni)  o nei casi in cui sia documentato un ripetuto fallimento riproduttivo (poliabortività o ripetuto fallimento d’impianto dopo trasferimento di embrioni).

9.    Richiedere un’analisi del cariotipo nella valutazione iniziale per l’amenorrea

L’amenorrea è l’assenza di mestruazioni e può essere attribuita a molte cause. Una analisi cromosomica come quella del cariotipo è indicata in caso di amenorrea solo dopo aver escluso le altre cause più comuni di questo sintomo (ad esempio l’eccessiva magrezza o obesità, lo stress, l’uso di farmaci) che possono spesso esserne la causa.

10. Eseguire la biopsia endometriale nella valutazione di routine dell’infertilità

La biopsia endometriale non distingue le donne fertili da quelle infertili. L’endometrite cronica non predice la probabilità di gravidanza in generale e non è associata a un aumento in generale dei tassi di natalità nei trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita.

“Il nostro suggerimento, quindi, è di rivolgersi a un medico esperto in medicina della riproduzione trascorsi i tempi suggeriti all’inizio del presente articolo, cercando di evitare sia l’accanimento diagnostico, sia il fai da te sia la strategia dell’attesa, quando ingiustificata. Uno degli aspetti più importanti nella diagnosi dell’infertilità è infatti la tempestività. Perdere tempo nell’iniziare l’iter diagnostico oppure perderlo in iter diagnostici inutilmente complessi è sbagliato e ha un impatto negativo specialmente sulla donna, per la quale, specie se è sopra ai 35 anni di età, è molto importante rispettare i tempi dell’età fertile e affrontare quanto prima diagnosi, cura ed eventuali trattamenti”. Conclude il dott. Comi.

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