Compagni di viaggio

antonio-bnUno degli aspetti che nel corso della mia vita professionale hanno contribuito a darmi la consapevolezza di aver scelto la strada giusta è senza dubbio la collocazione un po’ “borderline” della chirurgia estetica all’interno del vasto cosmo della medicina. Siamo tutti di una complessità misteriosa e in un certo senso frammentata: la storia della filosofia ci mostra come il problema forse più eterno sia la ricerca, la mai compiuta analisi del punto di contatto tra spirito e materia, tra dimensione psichica e fisica.
Non credo esista un campo di confronto pratico in cui l’esperienza di questo confine si manifesti in modo più chiaro che nella chirurgia estetica. La connotazione fondamentale risiede nel suo essere in un certo modo un atto di libertà. Ogni considerazione sul significato della medicina estetica deve passare dal confronto con questa domanda: qual è la libertà che rende possibile?
Non serve sottolineare lo stigma con il quale a tutt’oggi la medicina estetica viene spesso bollata come pratica quasi inutile, come incapacità di accettare un fatto incontrovertibile come lo scorrere del tempo, finanche come deliberata menzogna su quello che dovrebbe essere un aspetto “reale”.
Certamente è vero che questo sentire comune ha una chiara origine nell’essere spettatori, specialmente televisivi, di interventi disastrosi, con visibili e naturalmente sgradevoli risultati di alterazione dei lineamenti, frutto di eccessi e di pratiche sconsiderate di cui è inutile negare l’esistenza.
Ritengo che l’obiettivo a cui dovrebbe tendere ogni intervento estetico non possa essere che il ripristino di qualità andate perdute, il recupero di tratti già posseduti, la correzione di tratti manifestamente disarmonici e mai una modifica che porti a divenire qualcosa che effettivamente non si è.
Eppure esiste a mio avviso una questione più sottile, che non si lascia esaurire in semplici considerazioni di “buona pratica”. In fondo, fatti salvi i casi in cui un dismorfismo anatomico sia tale da provocare delle concrete indicazioni funzionali, un intervento estetico non è qualcosa di strettamente necessario per la salute. Proprio in questo altro aspetto “borderline” della chirurgia estetica trovo una delle sfide più affascinanti del mio mestiere e insieme una delle migliori motivazioni per scrollarsi di dosso timori e pregiudizi: l’intervento estetico ha tutta la sua ragion d’essere in quello che personalmente ritengo un libero atto di amore verso sé stessi e, perché no, di legittima e personale vanità.
Qui appare chiarissimo il punto di contatto, diviene evidente come sia i termini “medicina” che “estetica” stiano in un certo qual modo reciprocamente stretti l’uno all’altro: si tratta pur sempre di una “cura” nel senso in cui si vuol recuperare un equilibrio del proprio corpo e insieme di “estetica” nel senso che questo equilibrio perduto è qualcosa che ha a che fare con una libera “cura” di sé stessi. Verrebbe da considerare, con uno slancio linguistico forse un poco azzardato, come la polisemia del termine “cura” non sia casuale. Certo il rischio resta dietro l’angolo: in fin dei conti, da dove abbiamo la sicurezza che questa libertà sia davvero tale, e non sia il frutto di necessità solo ed esclusivamente psicologiche?
In che momento la libertà della chirurgia estetica è una libertà autentica, e in che momento si tratta invece di qualcosa di illusorio o, ancor peggio, di compensatorio di problemi di altro ordine?
La risposta a questo interrogativo risiede integralmente nella consapevolezza della natura di quanto si compie, soprattutto per quanto riguarda la persona del chirurgo. Mi piace pensare ad ogni intervento che pratico come ad un viaggio, che inizia con quel contatto, con quel fugace e al tempo stesso profondo impatto dei nostri occhi e delle istintive sensazioni che questi tradiscono subito senza possibilità di inganno.
Potrebbe essere l’inizio di un percorso che terminerà dopo lungo tempo e che porterà con sé una memoria ed un significato a lungo termine indelebile per entrambi.
La simbolicità della destinazione nella mente del paziente porta il conducente del viaggio all’obbligo deontologico di interpretarla correttamente. L’esperienza e la professionalità nella parte psicologica di analisi e valutazione del desiderio che spinge all’intervento sono importanti per un buon chirurgo plastico almeno quanto la perizia e l’abilità nella pratica chirurgica. Quando ci sia la possibilità che il ricorso alla chirurgia sia una maschera per esigenze di altra natura un buon medico deve saperlo riconoscere e spiegare al paziente che non può portarlo alla destinazione che desidera.
È questo terzo punto di contatto tra mente e corpo a costituire la vera chiave di volta della chirurgia estetica, la pietra indispensabile senza la quale ogni sezione dell’arco, per quanto ben realizzata, è destinata a crollare miseramente. Percorrendo una strada su un mezzo che da soli non sapremmo pilotare, la capacità del conducente è sicuramente fondamentale, ma il centro del percorso resta il viaggiatore. È in fondo un’altra applicazione del saggio modello “orizzontale” della cui importanza ci si inizia fortunatamente a rendere conto in tutte le branche della medicina, in cui il risultato
migliore si ottiene soltanto quando il paziente sia accompagnato e valutato nella sua intera, irriducibile complessità, e mai trattandone un solo aspetto come se fosse possibile isolarlo da tutti gli altri.
Un viaggio libero, in cui la certezza di una guida affidabile e consapevole è la condizione necessaria per poterselo godere al meglio, perché possa essere veramente il meritato frutto di una cura per sé stessi. In una curiosa sintesi anche qui il termine “cura”, nel suo senso fenomenologico, si manifesta evocativo: nella cura è intrinseca la dimensione della progettualità.
Un progetto di amore e di maggior bene per sé stessi, che si compie in un viaggio unico e irripetibile alla riscoperta guidata di un equilibrio tra psiche e corpo: questo è il senso più autentico e profondo della chirurgia estetica. E come in ogni viaggio, il momento culminante, che da solo vale ogni fatica, è quando la meta già viene intravista: non esiste emozione più grande di trovarsi a condividere la felicità di aver reso possibile un libero atto di amore per sé stesso di un sorridente compagno di viaggio.
DR. ANTONIO DISTEFANO
www.antoniodistefano.it
www.artesteticamilano.it
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