Il Report Eat Lancet è un’arma di distrazione di massa

Oggi, la commissione EAT-Lancet, promossa dalla Stordalen Foundation, Stockholm Resilience Centre e Wellcome Trust, e composta da un gruppo di 37 ricercatori, ha pubblicato sulla rivista Lancet il suo primo rapporto sui “sistemi alimentari sostenibili”. Il report, presentato come l’ultima avanguardia della scienza nella divulgazione di stili di vita sani e sostenibili, non rappresenta che una quota esigua di esperti: i ricercatori coinvolti, pur essendo in alcuni casi autorevoli, non possono infatti definirsi come “la comunità scientifica”.

Prima della pubblicazione di questo report – afferma il Professor Giuseppe Pulina, Presidente di Carni Sostenibili – The Lancet avrebbe dovuto sottoporlo all’esame della comunità scientifica internazionale, compresa quella degli zootecnici, dei nutrizionisti e dei climatologi, che avrebbero potuto offrire il proprio contributo ai risultati: la scienza è scambio e terreno di conoscenza, non uno sterile scontro fra fazioni”.

La proposta della commissione Eat Lancet, uniforme per tutto il pianeta, non tiene conto delle grandi disparità economiche, sociali e alimentari di tutti i popoli e non rispetta diversità, tradizioni, culture locali, oltre a snaturare i principi base della nostra dieta mediterranea, grazie alla quale gli italiani sono fra le popolazioni più longeve al mondo.

“Al di là dei suggerimenti interessati del rapporto EAT-Lancet, dunque, prima di abbandonare la propria dieta tradizionale per seguire pericolosi regimi alimentari, è giusto far sapere agli italiani che non serve che cambino il loro modello alimentare (e di vita), anche perché consumano già un quantitativo di carne molto più basso rispetto alla maggior parte delle nazioni prese in esame dalla commissione EAT” – continua il Professor Giuseppe Pulina.

Il rapporto non si ferma a una radicale ridefinizione delle diete sane. Chiede che burocrazie globali e governi rendano il cibo “non sano” meno disponibile, più costoso e più difficile da produrre implementando “una gamma completa di leve politiche”, fino a includere divieti di prodotti, nuove tasse e, di fatto, l’eliminazione delle scelte alimentari personali.  Il tutto con un obiettivo di tutela della salute delle persone e anche dell’ambiente, ma con il rischio di creare profonde disparità sociali.

“I principali climatologi – continua il Professor Giuseppe Pulina –  hanno affermato che concentrarsi sull’impatto dell’ agricoltura è un modo per distrarre  erroneamente le masse e la stessa comunità scientifica dalla più importante priorità ambientale, ovvero l’uso eccessivo di combustibili fossili, in primis, che è responsabile del 64% delle emissioni globali di gas serra. Secondo le ultime stime FAO disponibili, il settore agricolo, ha un impatto climalterante pari al 10,3% del totale, (incluso carne, uova, latte e acquacoltura), mentre l’allevamento animale è responsabile solo del 5% delle emissioni dirette globali”.

La volontà di partecipazione del settore delle carni al dibattito è concreta, tanto quanto la sensibilità al problema della sostenibilità delle sue produzioni. Forte di professionisti con comprovate conoscenze scientifiche in campo zootecnico, ambientale e nutrizionale, il comparto delle produzioni animali chiede che gli venga concesso un concreto spazio di confronto a questo dibattito, libero però da qualsivoglia pregiudizio.

 

 

 

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