Trapianto di rene, scoperta una possibile soluzione al rigetto dell’organo
Grazie al lavoro di medici e ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS.
Lo studio, in collaborazione con le Università di Bari, Foggia e Padova, pubblicato su Clinical Journal of the American Society of Nephrology.
Scoperto da medici e ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS un meccanismo fondamentale nello sviluppo del 70% delle reazioni di rigetto dei trapianti di rene. Il risultato dello studio potrebbe aprire la strada a nuove terapie anti-rigetto utilizzando farmaci già in uso clinico con altre indicazioni. Guidati da Giuseppe Grandaliano, Professore Ordinario di Nefrologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma e Direttore della UOC di Nefrologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, i ricercatori hanno scoperto che nel corso della forma più comune di rigetto del rene trapiantato interviene una sorta di reazione allergica all’organo sostituito, associata a una aumentata produzione di interferone-alfa.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Clinical Journal of the American Society of Nephrology, in collaborazione con le Università di Bari, Foggia e Padova.
La ricerca fa dunque luce sul “rigetto anticorpo mediato” nel trapianto renale. “Questa forma di rigetto è la causa più frequente di perdita del rene trapiantato e nel nostro lavoro suggeriamo un nuovo modello patogenetico che potrebbe aprire la via a nuovi approcci terapeutici (al momento non c’è alcuna terapia codificata o approvata dalle autorità regolatorie)”, spiega il professor Grandaliano. La rivista ha considerato particolarmente importante l’osservazione, dedicandole un editoriale.
Background
Lo scorso anno in Italia sono stati eseguiti 1799 trapianti di rene e al 31 dicembre 2019 la lista d’attesa per il trapianto di rene contava 6573 pazienti (numero rimasto costante negli ultimi 3 anni).
La percentuale di “fallimento” del trapianto di rene a 10 anni è di circa il 40%. La metà di questi fallimenti è legata alla morte del paziente con un trapianto funzionante, a seguito di complicanze o della malattia renale cronica (patologie cardiovascolari) o legate alla terapia immunosoppressiva (Neoplasie e infezioni).
Il rigetto dell’organo
L’altra metà dei fallimenti è legata invece al rigetto dell’organo trapiantato o alla recidiva sull’organo trapiantato della malattia che ha condotto il paziente in dialisi. Il rigetto anticorpo-mediato (oggetto dello studio) da solo rappresenta circa il 70% delle cause di perdita di funzione del rene trapiantato.
Il meccanismo fondamentale alla base del rigetto anticorpo-mediato è rappresentato dalla produzione di anticorpi di tipo IgG rivolti contro l’organo trapiantato. Questi anticorpi, una volta legati alla parete dei vasi del trapianto, attivano una reazione immunitaria di rigetto innescando un processo infiammatorio che porta al danno irreversibile del rene trapiantato. Nonostante la patogenesi sembri molto chiara, tutti gli approcci terapeutici utilizzati per trattare il rigetto anticorpo-mediato non hanno avuto il successo sperato e al momento non esiste una terapia codificata per questa condizione.
“Il nostro studio – prosegue Grandaliano – partendo da un’analogia tra rigetto anticorpo-mediato e il danno renale in pazienti con lupus eritematoso sistemico (una patologia autoimmune in cui il danno renale è anticorpo-mediato) ha dimostrato che, come nel lupus, anche nel rigetto cronico anticorpo-mediato oltre alle IgG sono presenti a livello renale anticorpi della classe IgE che sono in grado di innescare una sorta di reazione allergica all’organo trapiantato attraverso l’attivazione di mastociti e basofili, cellule immunitarie il cui ruolo non era ben chiaro nel corso del rigetto del trapianto renale. Inoltre abbiamo dimostrato che questo fenomeno, così come nel lupus, è strettamente associato ad un’aumentata produzione di interferone alfa. La nostra osservazione ha anche una potenziale ricaduta terapeutica. Infatti questa nuova via di danno dell’organo trapiantato potrebbe essere il target di farmaci già disponibili in commercio che agiscono bloccando l’azione dell’interferone alfa”, conclude il nefrologo del Gemelli.
Nella foto
Giuseppe Grandaliano