LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA AI TEMPI DEL COVID-19: IL PROFESSOR ANTONIO LA MARCA ILLUSTRA AI COLLEGHI EUROPEI LO STATO DELL’ARTE

Il 22 gennaio 2021 il professor Antonio La Marca ha tenuto un corso organizzato da ESHRE – European Society of Human Reproduction and Embryology, il più importante riferimento in Europa per la medicina della riproduzione – per aggiornare i colleghi specializzati in medicina della riproduzione su come affrontare la PMA in questa fase dell’emergenza sanitaria

 

 

 

Lo stop ai trattamenti ridurrà il numero di nascite in Italia e nel mondo

“Consapevoli del legame esistente tra esito positivo dei trattamenti di PMA e età delle pazienti, come medici ci siamo interrogati sulle ripercussioni che la loro interruzione avrebbe potuto avere in termini di nascite.” spiega il professor Antonio La Marca, Coordinatore Clinico della Clinica Eugin di Modena.
Secondo un recente studio britannico, condotto su circa 10.000 cicli, ritardare di sei mesi l’inizio dei trattamenti di PMA porta a una perdita significativa delle chances individuali di ottenere una gravidanza. La riduzione delle percentuali di successo è tanto più evidente quanto più è elevata l’età della donna. Inoltre, la riduzione del tasso di successo è più alta nelle pazienti con causa nota e obiettiva di infertilità. Mentre per le coppie con infertilità idiopatica – ovvero inspiegata – la riduzione nel tasso di successo è più contenuta e compensata in qualche modo dalla possibilità di gravidanza spontanea nell’arco dei sei mesi di attesa per la PMA. In Italia, in base alle stime di SIRU – Società Italiana Riproduzione Umana – i trattamenti di PMA non effettuati nei mesi di marzo, aprile e maggio 2020 condurranno a circa 4.500 nascite in meno, dato che potremo in effetti misurare nei prossimi pochi mesi. “L’incontro organizzato da ESHRE si pone l’obiettivo della massima diffusione delle conoscenze relative alla PMA ai tempi del COVID, in modo da continuare ad assistere i nostri pazienti in massima sicurezza, rispettando il loro diritto a ricevere assistenza sanitaria.” spiega Antonio La Marca.

Effetti del COVID-19 sull’apparato riproduttivo femminile e maschile e possibilità di contagio del feto

A inizio pandemia, gli effetti del virus del COVID-19 sulla salute riproduttiva, sia femminile che maschile, erano del tutto sconosciuti. Gli studi effettuati nel corso di questi mesi hanno fatto chiarezza sulle sue possibili ripercussioni sull’apparato riproduttivo e sulla sua trasmissibilità per via sessuale.
Per quanto riguarda l’uomo, non è stata rilevata la presenza del virus nella sua forma infettiva nel liquido seminale, suggerendo dunque l’assenza di trasmissione virale sia durante il contatto sessuale che in caso di trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita. Si sospetta che il virus possa invece essere in grado di infettare gli organi riproduttivi maschili, in particolare il SARS-CoV-2 mostra un qualche trofismo per il tessuto testicolare e l’epididimo, pertanto è suggerito, per i pazienti positivi, un follow up della funzione endocrinologica e riproduttiva negli anni a seguire.
Per quanto riguarda le donne, esiste un rischio teorico di infezione dell’apparato riproduttivo, ma uno studio condotto da Clinica Eugin – pubblicato su Human Reproduction – su due pazienti risultate positive il giorno del prelievo degli ovociti, ha evidenziato la totale assenza di tracce del virus nei gameti.
Relativamente, infine, alla trasmissione verticale del virus durante la gravidanza, un recente studio italiano pubblicato su una prestigiosa rivista scientifica ha analizzato in maniera seriata gravidanze positive al COVID-19, evidenziando solo rari casi di sieroconversione fetale endouterina. In accordo alle principali società scientifiche internazionali, la trasmissione verticale del virus, seppur possibile, è dunque da considerare evento raro e del tutto non comune.

Procedure di triage per centri di PMA “COVID-19 compliant”: screening, preliminare, test sierologico o tampone?

A fine aprile 2020 è stato possibile ripartire con i trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita, seguendo le linee guida di ESHRE e ASRM – American Society for Reproductive Medicine – per la riapertura dei Centri di PMA in totale sicurezza. ESHRE sottolineava l’importanza della sierologia – la misurazione degli anticorpi – dei pazienti durante il loro percorso di PMA: una buona indicazione, che deve però tenere conto che il test sierologicopuò dare falsi negativi nel triage del paziente acuto, in quanto la sierologia si positivizza solo a distanza di qualche giorno dall’infezione. Per molti mesi, all’inizio della pandemia, i tamponi sono stati sotto il controllo esclusivo governativo o dei Servizi Sanitari Nazionali in ciascuno dei paesi europei, rendendo particolarmente difficoltosa la somministrazione del tampone da parte dei medici delle cliniche di PMA, soprattutto per quelle private che sono collocate al di fuori degli ospedali pubblici. Si sono recentemente affermati come ottima alternativa i tamponi antigenici rapidi, alcuni dei quali hanno una sensibilità elevata, pari al 97,6%.

“Abbiamo a disposizione diverse alternative, ma, per un triage efficace, resta sempre fondamentale lo screening preliminare, con indagine relativa alla storia del paziente, alle sue condizioni di salute e ai contatti a rischio con pazienti COVID nei periodi precedenti all’accesso alla clinica.” conclude il professor La Marca.

Le strategie per la stimolazione ovarica nei centri di PMA “COVID-19 compliant”

“In questi mesi abbiamo messo a punto delle strategie per la stimolazione ovarica per programmi di PMA “COVID-19 compliant”.” spiega il professor La Marca.
Gli obiettivi da perseguire sono:

  • Ridurre, grazie alla telemedicina, la necessità di presenza fisica del paziente in clinica
  • Ridurre il numero dei monitoraggi (prelievi ed ecografie)
  • Ambire al rischio ZERO di complicanze
  • Ambire ad una gravidanza singola – non gemellare – e sicura

Per ridurre al minimo i rischi, è necessario evitare la iper-risposta alle terapie propedeutiche al prelievo ovocitario – ossia evitare una risposta ovarica alla stimolazione caratterizzata da eccessivo ingrandimento delle ovaie. Questo normalmente riguarda il 17 – 28% dei casi e queste pazienti possono essere esposte ad alcune complicanze, quali ad esempio la torsione ovarica o il sanguinamento al recupero ovocitario. La personalizzazione della terapia, già importante nella nostra pratica clinica, è oggi ancor più importante e indispensabile per cercare di azzerare il rischio di iper-risposta.

Per contenere le presenze delle pazienti in clinica è necessario semplificare il monitoraggio della stimolazione ovarica. Uno studio pubblicato su Human Reproduction ha dimostrato che le ecografie che danno informazioni utili sono quelle effettuate tra il quinto e il nono giorno dalla stimolazione ovarica, eliminando dunque la necessità di ecografie precoci.

Inoltre, un sondaggio condotto su 70 centri di PMA in Italia ha evidenziato la non necessità di monitoraggi frequenti, volti a modificare le dosi dei farmaci in corso d’opera. Nel 63% dei pazienti, infatti, la dose di FSH non veniva modificata nonostante un monitoraggio continuo e solo nel 10% dei casi il medico, riscontrando una iper-risposta ovarica, ha optato per una riduzione della dose. Solo 1 paziente su 10 dunque è quel paziente che necessita di monitoraggio intensivo. “I dati confermano che possiamo adottare delle strategie di semplificazione del monitoraggio follicolare, in modo da ridurre il rischio di contagio legato ai frequenti spostamenti”. Conclude il professor La Marca.

Vaccinazione contro il COVID-19: è necessaria per accedere ai trattamenti di PMA?

Le donne in gravidanza e allattamento hanno un rischio analogo alla popolazione generale di contrarre il virus e, in caso di gravidanza combinata con fattori di rischio – come il diabete, le malattie cardiovascolari e l’obesità – le donne potrebbe risultare maggiormente a rischio di contrarre il COVID-19 in maniera grave.
“In considerazione delle caratteristiche del vaccino (mRNA) e del rischio di contrarre l’infezione da COVID-19, si consiglia la vaccinazione specie nelle categorie a rischio per condizioni di salute o occupazione professionale, secondo le priorità stabilite dal Piano di Vaccinazione Nazionale.” spiega il professor La Marca. “La vaccinazione resta una scelta personale e dovrebbe essere decisa in stretta consultazione con un operatore sanitario, dopo aver considerato i benefici e i rischi. Le pazienti che si sottopongono al vaccino possono accedere ai trattamenti di PMA dopo il secondo richiamo vaccinale”.

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