Associazione Amiche e Amici dell’Accademia (AAA) di Medicina di Torino: convegno on line “Leggere i segni della violenza”

di  Piergiacomo Oderda

 

 

 

 

«In questo periodo di forzato contenimento in spazi angusti, la violenza è
all’ordine del giorno». Giancarlo Isaia, presidente dell’Accademia di Medicina,
saluta i partecipanti al convegno on line “Leggere i segni della violenza” sulla
pagina Facebook dell’Associazione Amiche e Amici dell’Accademia (AAA) di
Medicina di Torino. Giuseppe Cantelmo del Segretariato Italiano Studenti in
Medicina (SISM) di Torino, spiega come «l’Associazione di promozione sociale
sia rivolta alla popolazione in generale». Tra gli obiettivi cita «promuovere temi
della salute a 360 gradi, l’ideale di salute globale, i diritti umani, la salute
pubblica, gli scambi internazionali». Gabriella Tanturri, presidente
dell’Associazione AAA Medicina di Torino sottolinea «l’importanza della
formazione per i futuri medici come per i medici in attività» sul tema della
violenza di genere, «il “lockdown” ha peggiorato la situazione».
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) l’ha definita “pandemia ombra”.

 

Si perdono posti di lavoro, aumenta la precarietà economica del nucleo
familiare. «Gli unici dati certi sono relativi ai femminicidi». La maggior parte
dei femminicidi si consumano in ambito domestico, coinvolgono i figli. La
violenza di genere ha tante declinazioni come sono tanti i soggetti coinvolti.
Leggere i segni fisici della violenza contro le donne non riguarda solo
ginecologhe e ginecologi ma coinvolge quasi tutte le specialità mediche.
Giorgia Martino del SISM aggiunge: «la violenza sulle donne ha molte
maschere». Nel percorso di studio affrontano questa problematica nei corsi di
ginecologia e medicina legale. «Il primo contatto di una donna che ha subito
violenza è con il medico di base. Abbiamo il dovere di capire se fratture, lividi,
cicatrici abbiano un altro significato».
Paola Castagna, ginecologa, è Responsabile del Centro Soccorso Violenza
Sessuale (SVS) presso l’Ospedale Sant’Anna di Torino. «Quando parlo agli
studenti di medicina, dico loro di mettere nella diagnosi differenziale il fatto che
esiste la violenza». Altrimenti, non si colgono i segnali di maltrattamento. Apre
una parentesi sull’età geriatrica, quando sono le badanti ad agire una violenza
persino efferata sugli uomini. Esistono stereotipi sulla violenza di genere: fasce
svantaggiate, persone estranee, etnia diversa, paese non evoluto, non incide in
ambito sanitario. Una violenza da persona estranea ricorre solo nel due per
cento dei casi. «Il maltrattante ha le chiavi di casa, con lui si è instaurata una
relazione intima, un rapporto di fiducia». La Convenzione di Istanbul (2011)
l’ha definita come “un insieme di atti di violenza fondati sul genere che provoca
danni di natura fisica”. Il circolo della violenza passa attraverso le fasi della
“crescita della tensione, maltrattamento, luna di miele”. Secondo la World
Health Organization (2013), la violenza sessuale consiste in qualsiasi tentativo
di estorcere un atto sessuale facendo ricorso alla coercizione a prescindere
dalla relazione esistente con la vittima. Il rapporto Istat del 2014 calcola un
coinvolgimento del 31,5% di donne in Italia, per il 6% agita da uno
sconosciuto, per il 10% prima dei sedici anni mentre solamente l’11,8%
procede alla querela. Il silenzio “costa” 2,38 miliardi di euro tra cure sanitarie,
psicologiche e le ore perse dal punto di vista lavorativo. Le donne che

subiscono violenza hanno un accesso al Pronto Soccorso (PS) quattro volte
superiore. I maltrattamenti avvengono a livello di distorsione e distrazione del
collo, contusioni facciali; le lesioni sono spesso extragenitali, «la paura di
morire prevale, si lascia che l’atto avvenga il più velocemente possibile». La
dott.ssa Castagna rileva che «non è compito del sanitario accettare la veridicità
del racconto» ma può raccogliere prove per un eventuale “iter” giudiziario. Le
persone disabili corrono un rischio più alto, «non recepiscono le “avances”».
Sono esposte tre volte di più ad un abuso in età infantile, «la dipendenza
assistenziale può legare la vittima al “caregiver”» e nemmeno la gravidanza
viene risparmiata. In questo caso, la violenza colpisce le zone dell’addome, del
seno, dei genitali oppure le fasce laterali degli avambracci che tentano di
proteggere l’addome. Alcuni segnali da decodificare: la poliabortività, il
mancato rispetto delle scadenze, l’ansietà eccessiva nel parlare di gravidanza,
l’insicurezza, la depressione, la presenza di ecchimosi, l’eccessiva sollecitudine
da parte del partner. Questi, nella fase della “luna di miele” (doni, premure)
mostra di approfittare della conoscenza della la psicologia della vittima, la sa
tenere «agganciata a sé».

 

Il prof. Gianluigi D’Agostino, presidente Commissione Albo Odontoiatri di
Torino,, sottolinea come «questo tipo di violenza nasca da una carenza
educativa a cui ciascuno di noi nell’ambito della professione e della vita privata
deve porre un freno». Il medico è in una posizione privilegiata, si confronta con
i pazienti quotidianamente, è dunque maggiore la responsabilità nel cogliere i
segni di violenza. Gli odontoiatri sono distribuiti in modo capillare sul territorio
nazionale (60 mila studi). «Sono abituati a cogliere segni di cambiamento del
clima in una famiglia». L’Associazione Nazionale Dentisti Italiani sull’onda del
successo del Progetto Sentinella relativo al carcinoma orale, si sono
sensibilizzati sul tema della violenza domestica. Si sono dati strumenti per
cogliere le differenze che si presentano a livello delle lesioni del distretto oro
facciale o danni alle mucose gengivali nel cavo orale. Il tipo di lesione va
associato ad indicatori comportamentali. «Quando siamo di fronte ad un
incidente, il paziente è preciso nel raccontare come sia avvenuto. Il paziente
che non riesce a dare coerenza al racconto e alle lesioni, sommato
all’incoerenza temporale tra quando è accaduto l’incidente e quando è giunto
all’osservazione, pone qualche dubbio». Quando si giunge alla completa visione
della situazione del paziente e si coglie la possibilità di effettuare la
segnalazione, occorre accompagnarla da tutti i referti per renderla credibile:
impronte, fotografie che «permettano di fissare nell’istantaneità il tipo di
lesione».
La dott.ssa Maria Teresa Sorrentino (radiologia 2 Città della Salute di Torino)
inserisce il punto di vista della radiologia, il compito consiste nel «cercare segni
anche non palesi che facciano pensare al fatto che il paziente possa essere
vittima di violenza». Nell’anamnesi, le lesioni riscontrate possono rivelarsi non
congrue col racconto, un altro indizio è rappresentato dalla “latenza”, un
intervallo di tempo superiore alle ventiquattro ore tra l’incidente e l’assistenza

medica. Si riconoscono lesioni pregresse nella medesima sede. Attraverso
l’archivio digitale si cercano eventuali altri passaggi in PS riscontrando danni
non adeguatamente trattati in quanto non riconosciuti. Si propone un’ecografia
anche quando il chirurgo non la richiede. Una “slide” presenta “esempi di
quadri radiologici”: fratture del massiccio facciale e del collo, lesioni
traumatiche dei tessuti molli o muscoloscheletriche, enfisema sottocutaneo nei
casi di soffocamento, lesioni addominali (epatiche, spleniche, renali), lesioni
vascolari, cranio-encefaliche, fratture costali, lesioni toraciche. Enuclea quattro
punti fondamentali, innanzitutto l’accoglienza: lontani dal PS la donna «si sente
più protetta se le persone che l’accolgono sono formate a cogliere i segni che
fanno sospettare la violenza». Seguono la formazione, la comunicazione, la
collaborazione. Il 60% delle vittime di “Intimate partner violence” (IPV)
presentano contusione al terzo medio del viso sul lato sinistro per pugni e colpi
con oggetti contundenti. «Nessun operatore della sanità può considerarsi
esentato dal farsi carico di un problema di salute pubblica che è una vera
emergenza».

 

Gabriella Tanturri illustra le lesioni otorinolaringoiatriche. Un’alta percentuale
coinvolge il distretto cervico-facciale, piramide nasale, massiccio facciale,
orecchio e laringe sono esposti ad azioni lesive. Gli otoematomi provocati da
pugni, schiaffi o corpi contundenti, se non curati, esitano in deformazione di
padiglione con conseguente diminuzione dell’udito. La mandibola si frattura con
frequenza doppia rispetto alla mascella, a causa della posizione più esposta.
Fratture della mandibola vengono sospettate nei pazienti con una mal
occlusione post traumatica o con edema e dolorabilità focali a carico di un
segmento. Quanto alla frattura mascellare di tipo Le Fort I cita un caso clinico:
un minore giunto all’attenzione nottetempo, accompagnato dalla madre,
inviato da un altro ospedale con documentazione radiologica e quesito inerente
trauma con breve epistassi e sospetta frattura nasale. Esibisce referto
radiologico che non evidenzia segni di frattura. La successiva analisi diretta
della documentazione radiografica (RX cranio in due proiezioni) permette di
evidenziare linea di frattura tipo Le Fort I. Occorre controllare sempre
direttamente la documentazione radiografica e non attenersi al solo referto!
«Allora non avevo fatto nessun corso di aggiornamento nel riconoscere i segni
della violenza, poteva essere un campanello d’allarme»: un bimbo arrivato di
notte che non apre bocca, la madre nervosa… La dott.ssa Tanturri tratta le
lesioni timpaniche da schiaffo e da pugno, la sindrome labirintica senza frattura
della rocca petrosa, traumi chiusi della laringe da aggressione o tentativo di
strangolamento (frattura dell’osso ioide, parte anteriore del collo tra cartilagine
tiroidea e mandibola, all’altezza della vertebra C3). In caso di stretta al collo è
importante osservare i sintomi successivi che possono rilevare traumi gravi,
anche in caso di interruzione dell’aggressione: dispnea, voce roca o perdita,
tosse, difficoltà a deglutire, scialorrea, nausea, vomito, alterazioni
comportamentali, allucinazioni, cefalea, stordimento, vertigini, perdita di urina
e feci, aborto spontaneo, lingua e labbra gonfie.

Cristina Biglia, ginecologa, referente territoriale ASL Città di Torino per il
Coordinamento Regionale Rete Sanitaria Antiviolenza interviene sul tema delle
risorse del territorio. Si è registrato un incremento del 73% nelle telefonate al
1522 tra il primo marzo e il 16 aprile dell’anno scorso, rispetto al medesimo
periodo nel 2019, per il 30% si trattava di richieste di aiuto da parte di vittime
di violenza. Presenta un volantino dal titolo indicativo “Se sei vittima di
violenza… non sei obbligata a rimanere a casa” (ISS, maggio 2020). Sono i
partners attuali (o “ex”) a commettere le violenze più gravi, si declina nella
cornice domestica il dramma della violenza assistita, i figli sono esposti ad
elevate percentuali di rischio, la cui gravità è spesso sottovalutata dai genitori
stessi. Nel caso in cui la donna che accede ai servizi territoriali (consultori,
ambulatori) riferisca di aver subito violenza sessuale, l’operatore ha il dovere di
raccogliere il racconto, di valutare le condizioni cliniche, di attivare la presa in
carico più opportuna. Nel caso di violenza domestica, deve verificare
l’eventuale coinvolgimento di minori. Il racconto raccolto, le indicazioni fornite
e le procedure avviate vanno registrate in cartella clinica. Se si è entro i dieci
giorni dalla violenza avvenuta, con il consenso della donna, si invia al Centro
SVS dell’ospedale Sant’Anna di Torino o al PS ginecologico dell’ospedale di
competenza, in ambulanza se richiesto dalle condizioni cliniche della paziente.
In caso di pericolo di incolumità, occorre allertare le Forze dell’Ordine,
telefonare al 1522 per individuare una soluzione di emergenza. In assenza di
lesioni o pericoli immediati, si consiglia la consulenza presso un Centro
Antiviolenza territoriale, consultorio familiare o Centro di supporto e ascolto
Demetra presso le Molinette. A questo punto, mostra una “brochure” del
Centro Antiviolenza Emma. Uno studio su settecento studenti delle superiori ha
rilevato come una ragazza su dieci abbia vissuto esperienze di violenza; il 16%
delle ragazze (8% dei ragazzi) ha subito violenze psicologiche o comportamenti
di dominazione, il 14% delle ragazze (8% dei ragazzi) ha subito violenze o
molestie sessuali (Erickson, 2015). Si citano ancora tre strutture torinesi, il
Consultorio Giovani di Via Azuni 8, la Casa della salute dei bambini e dei
ragazzi di via Gorizia 112 e il Centro Integrato Bambi-Demetra presso
l’Ospedale Regina Margherita.
La dott.ssa Biglia risponde così ad una fra le molte questioni sollevate dai
partecipanti al convegno on line: «Di fronte alla violenza, la prima cosa da
evitare è l’indifferenza, è uno dei pochi casi in cui è bene farsi gli affari degli
altri».
Il video del convegno è disponibile al link:
https://www.facebook.com/AAAMedicinaTorino/videos/935187970619839.

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