Stimolare i pazienti a essere protagonisti nel loro percorso di cura: questo è uno degli obiettivi del progetto “Articolo 17– I pazienti hanno il diritto di essere attivi”

Al via presso la MAC (Macroattività Ambulatoriale Complessa) dell’oncologia dell’ASST Rhodense, a Rho (MI), il progetto pilota “Articolo 17 – I pazienti hanno il diritto di essere attivi”, che vede il coinvolgimento dell’Associazione La Lampada di Aladino nei percorsi di cura, a fianco dei pazienti e del personale delle équipes curanti.
L’associazione, fondata nel 2000 da un gruppo di ex pazienti oncologici con la finalità di supportare i malati e i loro famigliari che vivono l’esperienza del cancro, vuole esplorare le luci e ombre che gravitano nei processi ospedalieri, dove pazienti e curanti interagiscono sia in funzione della complessità organizzativa del sistema sia delle singole predisposizioni relazionali.
“Let the patient revolution begin – Patients can improve healthcare: it’s time to take partnership seriously”. Così richiama Davide PetruzzelliPresidente dell’associazione La Lampada di Aladino, un editoriale del British Medical Journal che già nel 2013 riportava l’auspicio di una trasformazione radicale del ruolo dei pazienti, riconoscendo loro la funzione pro-attiva nel migliorare l’assistenza sanitaria. “Molto più dei medici – sottolinea il presidente – i pazienti comprendono la realtà della loro condizione, l’impatto della malattia e del suo trattamento sulle loro vite e come i servizi potrebbero essere progettati meglio per aiutarli”. Da questo incipit è nato il progetto pilota “Articolo 17 – I pazienti hanno il diritto di essere attivi” che prevede un vero e proprio cammino di ascolto e riflessione da parte del paziente SMART.
“Il paziente SMART una persona come noi, – spiegano Elena Parravicini e Annalisa Radicevolontarie de La Lampada di Aladino – che mette a disposizione del personale dell’oncologia e dei pazienti, la sua esperienza di malattia vissuta negli ambienti ospedalieri, la sua formazione specifica, con la consapevolezza degli esiti che diagnosi e terapie hanno avuto sul corpo e sullo spirito e sulla qualità di vita, per portare valore aggiunto al sistema organizzativo, dall’accoglienza alla gestione dei pazienti, con una attenzione corale e sincronizzata da parte di tutti gli operatori coinvolti”.
“Il progetto – prosegue Petruzzelli – vuole essere una vera e propria call to action per i pazienti come, in modo visionario, veniva riportato nell’editoriale del British Medical Journal e si avvale di una simil traslitterazione dell’art. 17 della nostra Costituzione: “I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi….”, intesa come “I pazienti hanno diritto di essere attivi e partecipi in tutte le fasi della cura, perché possono cambiare lo status quo e contribuire con la loro azione terapeutica lì dove serve”.
Il gruppo di pazienti SMART entrando nella MAC di oncologia per quasi un anno, seguirà le attività del personale sanitario e esplorerà le esperienze dei pazienti, per arrivare a proporre migliorie a beneficio di entrambe le categorie. Raccoglieranno, inoltre, spunti e riflessioni utili a definire meglio le conoscenze e le competenze necessarie per diventare un paziente “SMART”.
“Il percorso prevede una fase sperimentale utile alla definizione dei passi per la formazione di pazienti SMART – sottolinea Annalisa AlbertiDirettore del Centro di Cultura e Ricerca Infermieristica dell’ASST Rhodense, partner del progetto “Articolo 17” -. Nessuno meglio di chi li sperimenta può descrivere i bisogni di chi vive l’esperienza legata al trattamento di una malattia oncologica, allo stesso modo per quanto riguarda chi esercita l’azione di cura. Uno scambio di reciproca educazione per ridefinire percorsi di cura più a misura di persona, utili alla qualità di vita dei malati ma anche indirettamente a quella dei sanitari, grazie alla collaborazione del paziente SMART che dialoga con lo staff sanitario sulla scorta delle specifiche esperienze e competenze, senza perdere di vista l’orizzonte dei bisogni reali dei malati di cancro. Informazione, formazione, esperienza e conoscenza sono skills che il paziente SMART è in grado di mettere a disposizione nella relazione duale col professionista sanitario e tra il gruppo di pari. L’originalità del progetto si ritrova nel considerare il paziente SMART come motore che guida l’osservazione, supportata da esperti di metodologia della ricerca, per orientare i rapporti all’interno dell’equipe”.
Il progetto si svilupperà anche sui canali social per raggiungere e stimolare un più vasto pubblico, con un canale YouTube dedicato, dove in ogni video pubblicato verrà narrata una pagina del diario del paziente SMART “in reparto”. La storytelling di ogni episodio racconterà le tematiche esplorate da un doppio punto di vista: quello dell’oncologo/infermiere e quello del paziente/caregiver. Ad esempio: le aspettative e i bisogni del paziente, le relazioni con il personale di assistenza, in modo da esplorare le componenti interpersonali dei molteplici rapporti in gioco e far emergere gli aspetti positivi da rafforzare.
Infine, il paziente SMART aggiungerà il suo personale contributo alle due “versioni”, spiegando il valore aggiunto che può apportare la sua presenza in reparto: incrementare la consapevolezza, migliorare la comunicazione medico/paziente per ridurre l’asimmetria informativa e fare in modo che le due visioni, a volte contrastanti, possano essere funzionalmente complementari.
“Di fatto il ruolo del medico in questo progetto è molto semplice: – conclude Roberto BollinaDirettore dell’oncologia – continuare a svolgere la propria attività di medico, che innanzitutto è “una persona con carattere, pregi e difetti”. Questi ultimi non devono essere visti come pecche: il progetto sarà qualcosa che potrà far capire al medico, uomo o donna che sia, come migliorare non solo le capacità tecniche e scientifiche della nostra disciplina oncologica, ma anche comprendere, fermarsi, ragionare e ascoltare ciò che può essere importante per la persona che assistiamo. Faccio un esempio: se un medico o un infermiere corre in un corridoio del Day Hospital e le persone che lo aspettano in sala d’attesa lo vedono… cosa viene loro trasmesso, cosa possono pensare? “E’ successo qualcosa, c’è un’urgenza”. Probabilmente se chiedessimo i loro percepiti ci direbbero che hanno avuto paura, oppure un senso d’ansia o di angoscia. Ecco ciò che il progetto potrà insegnarci. La pandemia di Covid 19 ci ha dimostrato l’importanza della comunicazione che è fatta anche di gesti e di atteggiamenti, in un mondo che lascia sempre meno spazio e tempo di guardare le persone negli occhi. Ritengo che per le persone affette da queste patologie, ma anche da altre, il rapporto umano e sociale, inteso come tale, sia alla base di una “umile” convivenza e che l’umiltà e la collaborazione sono il fulcro essenziale del prendersi cura e del curare”.
Il progetto è reso possibile grazie al contributo non condizionato di Astellas, AstraZeneca, Celgene – ora parte di BMS, Novartis e Roche.

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