Accademia di Medicina di Torino: presentato il libro di Bruno Gambarotta “La Chirurgia in Piemonte. Storia di una Scienza e di una Regione” (Ed. Minerva Medica, 2021).

di Piergiacomo Oderda

«La “verve” di Bruno Gambarotta è tale che non so se saprò rispondere a tutto
quello che chiederà ma ci provo!». Mario Nano presenta nell’aula magna
dell’Accademia di Medicina di Torino il suo nuovo libro, “La Chirurgia in
Piemonte. Storia di una Scienza e di una Regione” (Ed. Minerva Medica, 2021)


Bruno Gambarotta nota la presenza di «un basso continuo che accompagna
questa storia molto attenta e precisa della chirurgia in Piemonte, un basso
continuo che ambienta la storia della chirurgia sulla torinesità, sui fatti minuti
di Torino». Lo incuriosisce l’evoluzione a partire dalla figura del chirurgo-
barbiere che «provvedeva soprattutto ai salassi» sino a divenire «personaggi
noti, conosciuti perché sono alla fine gli unici che mettono le mani sul
paziente». Racconta di quando stava montando la registrazione per un
programma per ragazzi in Rai insieme ad un’assistente che aveva frequentato
un anno medicina. Nel corridoio scorgono la figura di Dogliotti. «Qualcuno gli
aveva fatto uno scherzo, gli ha telefonato, gli ha detto “Professore, ci sarebbe
da fare un’intervista”. E lui non ha chiesto né chi, né come, né dove, si è
vestito ed è partito. C’era una sacralità del chirurgo!».
Mario Nano ricorda i tempi in cui il chirurgo è diventato la “prima donna”
nell’ospedale. «L’ospedale era il luogo in cui andavano i poveri, in cui si andava
a morire. Nessun nobile, nessun ricco si sarebbe fatto curare in ospedale.

Poi
adagio adagio tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con le grandi
scoperte gli ospedali diventano davvero dei centri di cura. L’alta società decide
di andare a farsi curare negli ospedali ma non vuole rinunciare ai privilegi della
cameriera, della colazione a letto e vengono creati i reparti pensionanti. I
reparti pensionanti sono in combutta con l’idea di creare le case di cura, case
di benessere che non sono nient’altro che le cliniche private di oggi. Sorge un
conflitto terrificante a suon di carte bollate fra gli ospedali e le case di cura».
L’epicentro del conflitto sono i chirurghi perché sono quelli che hanno gli
onorari maggiori e che fanno guadagnare di più sia la clinica privata se vanno
in clinica, sia l’ospedale se operano nei reparti pensionanti. «Gli ospedali
ipertrofizzano i reparti chirurgici, che erano assolutamente non proporzionati
alle richieste ma erano i reparti, soprattutto quelli pensionanti, che facevano
guadagnare di più». Oggi non è più così, «gli interventi sono estremamente
complessi, pensiamo solo ai trapianti, il chirurgo è una delle componenti
dell’équipe; il chirurgo è diventato ormai una delle pedine che in molti casi non
è neanche la più importante di un gruppo di specialisti che è quello che porta
avanti la guarigione del paziente. Dalle stalle alle stelle alla comunità, così
potrei definire l’iter del chirurgo a partire dall’anno mille fino al terzo
millennio».
Mario Nano racconta le figure dei chirurghi calate nel loro tempo. Come
esempio cita Alessandro Riberi, il fondatore dell’Accademia di Medicina di
Torino, «il primo in Italia che ha reso obbligatoria l’anestesia per ogni
intervento. Rivoluziona il servizio sanitario militare e unisce le facoltà di
Medicina e Chirurgia. Era molto bravo ma ha avuto anche fortuna. Un giorno in

piazza San Carlo vede un giovane che cade malamente da cavallo. Lo soccorre,
lo fa portare al san Giovanni, va personalmente a seguirlo. Era il figlio
dell’ambasciatore francese!». Riberi unisce le Facoltà di Medicina e Chirurgia,
«unire le due facoltà era un gesto politico rischioso perché molte delle cattedre
dell’una erano cattedre anche nell’altra, voleva dire abolire delle cattedre. Il
progetto viene messo all’ordine del giorno in Parlamento ma tra un passaggio e
l’altro, alla sera viene cancellato. Riberi va a Palazzo Reale, sono le dieci di
sera, Carlo Alberto è già andato nei suoi appartamenti, in camera da letto ma
lui è in confidenza col re che gli firma un Regio biglietto; alle dieci di sera in
camera da letto di Carlo Alberto nasce la facoltà di Medicina e Chirurgia! Se
non fosse stato così intimo con Carlo Alberto non sarebbe riuscito ad unificare
le due facoltà». Riberi era un chirurgo, non poteva conoscere tutta la medicina,
«ha fatto degli sbagli clamorosi, a partire da Carlo Alberto sulla cui diagnosi
non si è ancora certi e che lui ha riempito di salassi, a Cavour a cui il suo
medico personale, un povero medico di paese ma con tanto buon senso, aveva
fatto diagnosi di febbri palustri cioè malaria. Arriva Riberi mandato dal re il
quale dice “macché febbri palustri, queste sono febbri cerebrali, salasso!”». Il
prof. Nano racconta di un periodo in cui «a casa Savoia era successo di tutto.
Era morta la madre di Vittorio Emanuele, già piuttosto anziana, Maria Luisa
d’Austria, muore il fratello, Ferdinando duca di Genova, muore la moglie di
Vittorio Emanuele II, muore l’ultimogenito di Vittorio Emanuele» da cui il detto
dell’epigrammista Baretta: “Del gran Riberi i meriti – non sia che età cancelli –
son scritti indistruttibili – sopra i regali avelli” . Il duca di Genova tossiva e
sputava sangue. «Siccome poco tempo prima era morta la madre, Riberi fa
diagnosi di melanconia!».
Gambarotta cita «i chirurghi chiamati a intervenire sul campo di battaglia che
dovevano inventarsi soluzioni», «La Croce Rossa – osserva Mario Nano – nasce
con l’orrore di questi feriti lasciati morire. Il vero iniziatore del concetto di
Croce Rossa è un italiano, Ferdinando Palasciano, medico chirurgo a Napoli, a
cui è dedicato il Collegium Historicum Chirurgiae che rilascia un premio
annuale ai migliori lavori di storia della chirurgia. Proprio grazie alle guerre
viene valutata la differenza nell’anestesia fra l’etere e il cloroformio e vengono
valutati i vantaggi e gli svantaggi della terapia chirurgica urgente nei grandi
feriti di guerra». Andrea Marro «si rende conto dell’importanza dell’intervento
immediato a pochi minuti dalla ferita del soldato. Fa spostare sempre più
avanti, sempre più vicino alla linea del fuoco le tende del primo soccorso».
Scrive un rapporto accettato in Italia senza grandi entusiasmi mentre è
«ancora oggi la base di tutti i trattati di chirurgia di guerra americani».
Gambarotta ricorda quando da direttore alla fotografia nelle riprese televisive
cercava di individuare un assistente più valido di altri per “allevarlo” e
costruirsi il successore. Capita così anche in medicina? Mario Nano ricorda che
Riberi era stato allievo di Lorenzo Geri, grande clinico chirurgo. Nell’orazione
funebre dedicata a Lorenzo Geri, Pacchiotti parla di quando Lorenzo Geri aveva
capito che c’era nel suo gruppo «una mente superiore, una mano superiore,

quella di Riberi e che lo lasciava fare, gli dava carta bianca». Il tono si fa
umoristico ricordando il problema che deve risolvere Amedeo VIII «morto in
odore di santità. Una delle piaghe di Torino era la prostituzione, non si sapeva
come fermarla. Amedeo VIII decide di rinchiudere la prostituzione in un luogo
ben fisso. Compra un discreto edificio, lo fa ristrutturare, lo dà in affitto ad un
tenutario e crea la prima casa di tolleranza in Europa. Si rende conto che la
prostituzione è fonte di malattia, le prostitute vanno periodicamente visitate. I
medici inorridiscono all’idea e chi ci va a visitare le prostitute? I chirurghi, anzi
viene addirittura creata una specialità “cerusico visitator di meretrici”».
Gambarotta accenna a concorrenti nascosti sotto il letto dei pazienti. E’ il caso
di Lorenzo Geri, «gli universitari erano molto bravi in teoria, ma qualche volta
il chirurgo ospedaliero era più bravo. Il clinico chirurgo mandava i suoi
assistenti di notte a controllare come andassero i malati operati da Lorenzo
Geri. Li faceva parlare con i parenti, parlando male di Lorenzo Geri. Era una
battaglia università ospedale nel milleottocento, non che adesso sia tanto
diverso!».
«Sul piano della notorietà in questo momento che posto ha il chirurgo?»
incalza Gambarotta. «Il chirurgo ha un legame particolare con il paziente. Si
crea una sorta di cordone ombelicale che lega il paziente con il proprio chirurgo
in maniera viscerale». Su questo input interviene il presidente dell’Accademia,
Giancarlo Isaia. «Negli ultimi vent’anni c’è stata un’esplosione di ipertensione,
diabete, dislipidemia, osteoporosi, insufficienza renale, tutte malattie non
risolvibili, ci metti “una pezza”, fai l’insulina, la dialisi. Invece il chirurgo risolve
quasi sempre, ti toglie un pezzo di colon, l’appendicite acuta, la colecisti, un
tumore». Ricorda un aneddoto relativo al maestro di Mario Nano, il prof.
Angelo Emilio Paletto. «C’era una paziente che aveva un Cushing surrenalico e
nessuno sapeva se fosse a destra a sinistra, allora non c’era la TAC, non
c’erano risonanze, lui mi guarda e mi chiede “lei è fortunato? Ce l’ha una
moneta? Facciamo a testa e croce, se viene testa a destra, se viene croce a
sinistra!”». Sono stati fortunati in quel caso! Un altro ricordo viene dal decano
di quella scuola di chirurgia, il prof. Giuliano Maggi. «In questo momento sono
il più vecchio della scuola di Biancalana, Paletto, mi sembra mio dovere dire
che Mario Nano tra tutti noi è quello che studiava di più. Ricordo che quando si
è laureato ha organizzato una bellissima cena in via Mazzini, un banchetto
molto ricco che non ho mai più dimenticato!». La tesi riguardava «un nuovo
mezzo diagnostico, assolutamente all’avanguardia che si chiamava ecografia».
Mario Nano si sofferma ancora su Vittorio Amedeo II, «a questa figura è legata
una serie di iniziative che hanno reso Torino famosa, dalla Basilica di Superga
alla fondazione dell’Università di Torino, 1720, ai primi rudimenti del Museo
Egizio, della Biblioteca Nazionale». Aggiunge fra questi meriti la fondazione del
primo ospedale specifico per una determinata malattia in Italia. I primi
ospedali un po’ specialistici nascono a Genova con il marchese Brignole. In
Piemonte nasce l’ospedale specifico dei Pazzarelli, quelli che soffrivano di

malattia mentale vengono messi in uno specifico ospedale. Poi nasce un
secondo ospedale specifico per le partorienti, il primo ospedale ginecologico.


Infine, narra la storia dei grissini. «Sembra che Vittorio Amedeo II da bambino
(probabilmente era celiaco), non sopportasse il pane, la mollica. Allora la
madre, la seconda reggente, Maria Giovanna Battista di Nemours, chiama a
consiglio i più grandi medici del tempo che consigliano di tenere il bambino a
letto al buio. Uno dei ministri suggerisce alla reggente di chiamare un vecchio
medico di paese che dice: “Aprite le finestre, fate prendere aria e buttate giù
dal letto il ragazzino”. Poi chiama un panificatore di Borgo Dora, “devi prendere
l’impasto di una grissia, quanto serve per formare una pagnotta e la devi
allungare finché non contenga più mollica.. Prendi il tuo braccio, guarda quanto
è lungo, il grissino deve essere lungo così”. Pare che con questo artificio
Vittorio Amedeo abbia ricominciato a dare segni di vitalità».
Napoleone si era innamorato dai grissini, aveva rinominato scherzosamente
Torino “Grissinopoli” e due volte la settimana una carrozza veniva apposta a
Torino a prendere i grissini e a portarli sulla tavola dell’imperatore. Sotto la
stele di piazza Savoia eretta per sottolineare l’importanza della legge Siccardi
sono stati messi dei prodotti tipici del Piemonte tra cui il vino e una confezione
di grissini.
«Credo che il libro possa essere letto in due modi, che ci siano due libri, uno in
caratteri normali, la storia della chirurgia, il secondo fatte dalle note, quasi un
libro parallelo che parla di Lavazza, di Paissa, dei primi pelati fatti a Borgo
Dora, eventi che servono a calare nella realtà quel libro ufficiale che è la storia
della chirurgia». Conclude Giancarlo Isaia ringraziando Mario Nano di aver
scelto l’aula magna dell’Accademia per la presentazione ufficiale del suo libro.
«Chissà quante scoperte e innovazioni sono state descritte in quest’aula!
Bizzozzero è venuto qui a spiegare l’elioterapia nella tubercolosi. All’inizio del
secolo i medici venivano qui ad aggiornarsi, non c’erano né congressi, né
internet». L’Accademia di Medicina con corsi on line, conferenze e premi di
ricerca fa il possibile per essere all’altezza dei grandi maestri di cui le immagini
sono appese sulle pareti dell’aula magna.


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