Usurpare le capacità embrionali: individuato meccanismo biologico che governa la crescita del feto nel grembo materno e lo sviluppo di alcuni tumori molto aggressivi
Pubblicata su Medicinal Research Review, la ricerca coordinata dall’Università di Pisa e dall’Aoup apre nuove prospettive per la cura del cancro e di alcune malattie tipiche del neonato prematuro
Il meccanismo biologico è lo stesso e, sebbene con valenze opposte, gioca un ruolo fondamentale nel caso della crescita dei feti nel grembo materno e dello sviluppo di alcuni tumori particolarmente aggressivi. La scoperta pubblicata su Medicinal Research Review, una delle prime riviste di farmacologia al mondo, arriva da una ricerca condotta da un team di neonatologi e di fisiologi composto da Luca Filippi, Maurizio Cammalleri, Paola Bagnoli e Massimo Dal Monte per l’Università di Pisa e Alessandro Pini per l’Ateneo fiorentino.
Al centro di tutto c’è un particolare recettore adrenergico (il beta3) che viene attivato da bassi livelli di ossigeno per indurre processi di intensa vascolarizzazione. Questo meccanismo viene sfruttato da alcuni tumori per vascolarizzarsi e accrescersi, seguendo lo stesso meccanismo che originariamente era stato scoperto studiando una patologia tipica del neonato prematuro come la Retinopatia della Prematurità, tuttora la principale causa di cecità dei neonati prematuri. Lo studio di questo meccanismo, secondo gli autori della ricerca, apre dunque importanti filoni di cura sia in campo oncologico che neonatale.
“L’articolo pubblicato sul Medicinal Research Review è l’esito di un percorso che abbiamo seguito negli ultimi dieci anni, un vero e proprio viaggio con andata e ritorno, partito dallo studio della Retinopatia della Prematurità (e che continua, con un nuovo trial clinico finanziato dall’Azienda ospedaliero-universitaria pisana), esteso successivamente al cancro, ed ora di nuovo focalizzato su una interpretazione delle principali malattie del prematuro e sulle nuove prospettive di cura”, spiega il professore Luca Filippi del Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Ateneo pisano, Direttore dell’Unità operativa di Neonatologia dell’Azienda Ospedaliero-universitaria pisana.
Decifrare il ruolo di questo particolare recettore che governa funzioni così disparate ma al tempo stesso così coordinate è stato il filo logico che ha guidato tutta la ricerca. L’idea di partenza è stata che il cancro utilizzi il recettore per sfruttare meccanismi biologici ben rodati e straordinariamente efficienti, originariamente previsti per tutt’altra finalità: quelli cioè di assicurare all’embrione e al feto la possibilità di porsi al centro dell’ospitante (la madre) e poter così crescere, promuovere la propria vascolarizzazione, farsi immuno-tollerare e rendersi chemioresistente all’interno dell’utero materno.
Il cancro, pertanto, si comporterebbe come un abile usurpatore ed imitatore di capacità originariamente embrionali. Quello stesso “trucco” che consente all’embrione di insediarsi al centro del grembo materno e imporre all’ospitante una serie di adattamenti biologici necessari alla sua crescita ed al suo benessere, viene purtroppo utilizzato dal cancro per mantenere la propria crescita all’interno di un involontario ospitante.
La scoperta che il recettore adrenergico beta3 abbia un ruolo così utile al cancro in quanto capace di garantirgli potenzialità embrionali, da un lato apre la strada all’antagonismo di questo recettore come nuova opportunità terapeutica antitumorale, dall’altro suggerisce che questo recettore svolga invece un ruolo benefico e indispensabile durante la vita intrauterina. Da questa considerazione è nata così l’ipotesi che i neonati che nascono troppo prematuramente possano presentare una serie di patologie apparentemente diverse le une dalle altre, ma tutte almeno in parte ascrivibili alla privazione degli effetti benefici di questo recettore.
“La sfida che si apre allora adesso – aggiunge Luca Filippi – è quella di verificare se i neonati prematuri possano giovarsi di una stimolazione di questi recettori (come avverrebbe se i neonati avessero potuto rimanere nell’ambiente uterino) per prevenire alcune delle malattie tipiche del neonato prematuro”.
“La esplorazione di questa nuova ipotesi sta prendendo corpo grazie alla generosità di due persone, Jean-Luc e Cristina Baroni, – conclude Filippi – grazie ai quali è stato possibile acquistare una speciale incubatrice capace di garantire altissime concentrazioni di ossigeno per organizzare una serie di test volti a verificare se sia possibile, stimolando questo recettore, prevenire molte delle patologie del neonato prematuro. Infine, sento il dovere di ricordare che il decennale percorso di ricerca che ha portato alla presente pubblicazione ha coinvolto (e continuerà a coinvolgere), tra le altre, la Neonatologia dell’Ospedale Meyer, di Siena e della Clinica Mangiagalli di Milano, cui devo un sincero ringraziamento”.