Fabio Wolf, Presidente dell’Associazione 160cm, sigla la convenzione con l’ASL TO3

di Piergiacomo Oderda

Visibilmente emozionato, Fabio Wolf, così come è conosciuto Fabio
Guglierminotti, Presidente dell’Associazione 160cm, sigla la convenzione con
l’ASL TO3, presentata a sorpresa dal Direttore generale Franca Dall’Occo e da
Alda Cossola, staff Promozione della salute, sempre per l’ASL TO3. E’ la scena
finale di un pomeriggio di formazione per medici, operatori sanitari e
giornalisti, “Dalla terapia alla cura. Una nuova prospettiva per la Sclerosi
Multipla”, nella suggestiva aula del Tempio del Museo Nazionale del Cinema a
Torino.
Si parte dalle immagini e dai suoni di un video girato da Edoardo Frezet. Gli
onori di casa spettano alla giornalista Maria Chiara Voci e ad Adriano Chiò,
Direttore SC Neurologia, Dipartimento Neuroscienze e Salute Mentale, Città
della Salute e della Scienza di Torino. Fabio Guglierminotti punta l’attenzione
sulla persona del paziente, il primo referente della malattia; questi deve
affrontare un percorso introspettivo di accettazione, consapevolezza e
autodeterminazione. Accettazione significa «prendersi cura di sé, rallentare,
ascoltare i propri bisogni»; si diviene consapevoli di ciò che varia a causa della
malattia. La persona consapevole, pur non avendo il controllo di tutto, sa
scegliere un comportamento. Parla di approccio interdisciplinare, olistico, di
alleanza terapeutica. L’Associazione 160cm intende «dare voce ai bisogni dei
malati di Sclerosi Multipla attraverso un ascolto attivo», sostenerli con
iniziative concrete di movimento, socializzazione e supporto psicologico,
«azioni mirate per il mantenimento della qualità della vita», anche per i
“caregivers”. I vari soggetti coinvolti nel pomeriggio di formazione hanno un
ruolo preciso. All’Ordine dei Giornalisti si chiede «un confronto su linguaggi e
immagini da utilizzare per aiutare il pubblico a comprendere il punto di vista
del malato». Enzo Ghigo, Presidente del Museo Nazionale del Cinema, ringrazia
Fabio, «nel raccontare il tuo percorso dai un contributo a persone che
incontrano difficoltà nella loro quotidianità». Secondo Giancarlo Marenco,
Presidente Ordine degli Psicologi per il Piemonte, mettere la psicologia a
sistema significa «favorire l’aderenza alla cura, occuparsi di come la persona si
rappresenta la malattia». Vincenzo Villari, Direttore Dipartimento Neuroscienze
e Salute Mentale, nota come dal contesto dell’incontro «si emana energia»,
necessaria per aiutare le persone che devono affrontare una prova che diventa
un’opportunità. E’ fiero di far parte di un Sistema Sanitario Nazionale e
Regionale che consente cure innovative ed efficaci, anche se costose.
Andrea Calvo, Professore Associato di Neurologia, entra nel merito dei modelli
assistenziali per malattie neurologiche spesso croniche e progressive che
danno disabilità. Curare, guarire è un evento molto raro, eppure ci sono
notevoli spazi di trattamento farmacologico e non solo. Caratterizza
l’assistenza ai malati neurologici “I care”, prendersi cura, prendere in carico in
modo concreto. Il paziente non deve preoccuparsi di prenotare una visita.
L’interdisciplinarietà è fattibile in un modello che mette in rete tutti i servizi,
ponendo al centro il malato e la sua famiglia. La telemedicina può ovviare a
bisogni nuovi, determinati dalla mancanza di una rete sociale e familiare.

Delina un nuovo concetto di interazione a triangolo tra il ricercatore, chi
finanzia e le associazioni di pazienti. Con simultaneità di cura, si intende che il
malato ha possibilità di accedere a risposte ai suoi bisogni (diversi da malato a
malato) in qualsiasi momento, «se ho qualcosa che mi fa star male, devo
cercare di star bene». Il PDTA (Percorso Terapeutico Diagnostico Assistenziale)
viene chiarito da Paola Cavalla, Responsabile del Centro Sclerosi Multipla. Il
PDTA nazionale viene emanato «per promuovere la progettazione e
l’implementazione dei singoli PDTA regionali e per sancire il diritto a servizi
diagnostici e terapeutici omogenei sul territorio nazionale». Un modello
assistenziale interdisciplinare integrato è finalizzato a rispondere a tutti i
bisogni di salute e di cura. La qualità di vita è l’obiettivo finale delle risorse,
garantirla nell’universo quotidiano del malato rappresenta una svolta
copernicana, non si tratta di mera somministrazione di farmaci. Il nucleo di
questa assistenza risiede nel Centro Sclerosi Multipla, composto da un
neurologo dedicato, da infermieri, da una segreteria ed altri specialisti per
consultazioni in caso di necessità. La rete dei Centri deve garantire la diagnosi,
un corretto monitoraggio clinico strumentale, interventi terapeutici tempestivi,
accesso a competenze multispecialistiche, educazione a stili di vita corretti. Il
PDTA declina un nuovo ruolo per il medico di base, «figura che si interfaccia
con il neurologo e con le persone sul territorio». Accenna alla medicina di
genere, in particolare al «percorso multidisciplinare a supporto della
gravidanza in persone con Sclerosi Multipla». La prevalenza della malattia è a
sfavore delle donne (tre quarti) anche se hanno un decorso generalmente più
leggero. Adriano Chiò sottolinea la necessità della fuoriuscita dall’ospedale
verso il territorio, «quel mare ignoto oltre le porte di via Cherasco».
Giuseppe Massazza, Direttore Dipartimento Ortopedia, Traumatologia e
Riabilitazione ha visto arrivare Fabio in bici. E’ l’esempio di “Attività Fisica
Adattata” «su un soggetto che fa dell’attività motoria uno strumento di cura».
Si chiede come faccia l’ospedale a portare riabilitazione sul territorio, “a casa di
Fabio”. La riabilitazione è un percorso dall’ospedale al territorio, al domicilio
che si integra con la parte non sanitaria. Si avvale delle nuove tecnologie.
Claudio Solaro è responsabile del CRRF (Centro di Recupero e Riabilitazione
Funzionale) mons. Luigi Novarese di Moncrivello (VC). I soggetti con malattia
cronica ad alta complessità soffrono di vari sintomi. La terapia di contrasto ad
un sintomo non deve interferire su altri. Oggi l’aspettativa di vita per una
diagnosi di malattia neurologica è confrontabile con quella di soggetti non
affetti. Il 25% dei pazienti ha più di 65 anni. La spasticità è determinata da un
danno alla via che dal cervello manda un messaggio ai muscoli. Se non si
avesse il tono muscolare, si sarebbe sdraiati per terra, se è eccessivo,
impedisce il movimento (con il muscolo sempre contratto). La terapia
farmacologica ha dei limiti. Si è sviluppata la possibilità di bloccare i muscoli
con la tossina botulinica, solo su piccole aree. Una terapia più invasiva,
iniezione di farmaci nella colonna, è riservata a situazioni più complesse, in cui

non si ha più la possibilità di camminare. La terapia a Onde d’Urto è replicabile,
non ha effetti collaterali, può essere associata a terapie farmacologiche.
Marcello Campagnoli, Dirigente Medico SC Medicina Fisica e Riabilitazione
illustra uno studio pilota sulle Onde d’Urto nel trattamento della spasticità. «Si
raccolgono dati al momento della partenza e si segue l’evoluzione nel tempo»
(studio longitudinale). “In aperto” significa senza un gruppo di controllo.
Criterio di inclusione è essere pazienti con Sclerosi Multipla focale (non
generalizzata), una spasticità legata ad arti inferiori o superiori. Nella scala di
Ashworth modificata (MAS) si sceglie il grado 3, ovvero fatica ad aprire la
mano, allungare le braccia o flettere le gambe. Criteri di esclusione:
trattamento recente con tossina botulinica, febbre, grave patologia cognitiva.
Lo studio coinvolge trenta persone con controlli a uno, tre, sei mesi. Il
protocollo è ”isocosto”, il macchinario viene donato da Storz Medical. Accanto
alla scala di Ashworth presenta una scala per misurare il dolore e una scala
cognitiva MoCA (Montreal Cognitive Assessment). Per illustrare la differenza tra
Onde d’Urto radiali e focali ricorre alla metafora dell’imbuto rovesciato. Ogni
secondo la macchina dà quattro colpi (Hz) a 1,5 bar; vengono prescritte
quattro sedute da quindici minuti, distanziate di una settimana.
Secondo Laura Moriondo, Responsabile Attività Adattata del Centro
Universitario Sportivo (CUS), la pratica dello sport costruisce una mentalità di
rivalsa sulla malattia. Si preoccupa per quel 23% di adulti e 81% di adolescenti
che non soddisfano le indicazioni per una regolare attività sportiva. Anna
Mulasso, Gruppo di Ricerca Funzione neuromuscolare, spiega l’Attività Fisica
Adattata come «mantenersi fisicamente attivi anche in condizioni di cronicità».


Le linee guida raccomandano 150 minuti di attività aerobica la settimana.
Come il sarto taglia la stoffa e cuce un abito su misura, così il chinesiologo cura
la persona che si rivolge al servizio. I benefici per le persone con Sclerosi
Multipla sono evidenti quanto a capacità fisiche, forza, equilibrio, mobilità
articolare, riduzione di sintomi invalidanti e fatica percepita. A livello
psicologico, si ottiene la riduzione di ansia e depressione. Marco Vercellino,
Centro Sclerosi Multipla e Neurologia, interviene su stili di vita e abitudini
alimentari. Non si conosce la causa scatenante ma si associano al rischio di
contrarre la malattia una carenza cronica di vitamina D in infanzia e
adolescenza, l’obesità in adolescenza, la scarsa esposizione al sole,
un’alimentazione ricca di grassi saturi, il fumo di sigaretta. Il rischio è
un’interazione tra fattori genetici e ambientali.
Silvia Alparone, giornalista freelance, Consulente per la comunicazione di
Aziende sanitarie e Società scientifiche, raccomanda la ricerca di dati «per
fotografare la situazione». Si deve fare attenzione a non introdurre immagini
erronee come quella di una carrozzina che produce un effetto negativo sul
benessere del paziente, «la persona si demotiva, si mortifica». Spiega il
significato del nome dell’Associazione presieduta da Fabio Guglierminotti,
«salire in sella e guardare la realtà da quei 160 cm dal nostro sguardo al

suolo». Paola Perozzo, Tutor della Scuola di Specializzazione in
Neuropsicologia, parte dalle diverse reazioni delle persone alla diagnosi di
Sclerosi multipla, «a seconda delle storie di vita, delle esperienze, dei contesti
familiari ed educativi». I primi tre anni sono più critici per la persona e il nucleo
familiare, emergono paura, smarrimento, rabbia. Ci si chiede: “cosa
succederà? Perché proprio a me?”. «La negazione per un breve periodo di
tempo non è un meccanismo di difesa patologico ma il bisogno di prendere un
po’ di tempo per metabolizzare». La seconda fase può essere caratterizzata da
chiusura, ritiro, isolamento sociale, frustrazione, impotenza. Arriva persino un
illogico senso di colpa, “mi è venuto perché ero troppo stressato sul lavoro,
perché fumavo troppe sigarette”. Il vissuto della malattia è contrassegnato da
una frattura rispetto alla funzionalità del corpo, prima percepito come sano, poi
come oggetto malato, da perdita, minaccia per la progettualità futura. La
diagnosi rappresenta uno spartiacque. Un sostegno psicologico precoce
consente di fornire strumenti per comprendere la malattia come sfida
affrontabile. “Tutti mi dicono che devo accettare la malattia ma la fanno
semplice!”. L’accettazione non va confusa con la rassegnazione. E’ un
adattamento, «un processo lento che porta a maturità non scevra da crisi»,
determinata da ricadute che necessitano di ulteriore adattamento. Occorre
consapevolezza di ciò che avviene, percezione di avere risorse, capacità di
rimodulare obiettivi di vita realizzabili. Anche per il “caregiver” va strutturato
uno spazio d’ascolto, un supporto emotivo, un approccio psicoeducazionale che
suggerisce strategie adattative. Conclude Fabio Wolf, «una pedalata in più
possiamo darla tutti!».

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