Il prof. Elio Berutti tratteggia il “curriculum vitae” della professoressa Maria Grazia Piancino, Professore Associato di Ortognatodonzia, Dental school, Università di Torino

di Piergiacomo Oderda

 

 

 

«Allieva del prof. Pietro Bracco, ha sposato la tecnica delle malocclusioni
dentarie con terapie funzionalizzanti». Il prof. Elio Berutti tratteggia il
“curriculum vitae” della professoressa Maria Grazia Piancino, Professore
Associato di Ortognatodonzia, Dental school, Università di Torino. Quest’ultima
ha pubblicato in Italia e negli USA una monografia (“La funzione masticatoria
nei Morsi incrociati monolaterali”, 2018) ed è stato membro del comitato
editoriale di una delle più importanti riviste odontoiatriche.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il prof. Stefano Carossa pone in evidenza la qualità del settore di ricerca relativo alla
masticazione, i deficit sono «alla base di molte patologie». La professoressa
Piancino ha dimostrato in questo campo «estrema passione e capacità».
La prima “slide” è fitta, negli ultimi cinque anni si contano 126 studi, fra i quali
un alto numero di “reviews” descrittive. La “review” sistematica del gruppo
della professoressa Piancino (A. Tortarolo, A. Polimeno, E. e P. Bramanti) è
stata pubblicata su “Plos one” il 20 agosto dell’anno scorso. «Per una terapia
ortognatodontica di successo va considerato non solo il riposizionamento dei
denti nelle arcate ma gli effetti della terapia sulla funzione». Cita Arthur Lewin,
suo mentore nella comprensione del movimento masticatorio. «La ricerca è
andata oltre… l’armonia dello sviluppo psicofisico del bambino dipende
dall’equilibrio della funzione dell’apparato stomatognatico». Maria Grazia
Piancino ha rivestito il ruolo di presidente per il “Nutrition research group”
(International Association of dental research). La nutrizione è più della
semplice introduzione di cibo. Sono implicati processi biologici, la percezione
orale della consistenza e, in particolare, processi fisici. Si tratta di un
movimento filogeneticamente antichissimo, il ritmico automatismo è
controllato dal sistema nervoso centrale. Vediamo svilupparsi in un’animazione
il carattere alternato della masticazione, «la simmetria dipende
dall’alternanza». Il movimento è caratterizzato da variabilità e ripetitività. I
“pattern” masticatori mutano durante la masticazione del bolo molle o del bolo
più consistente (ricerca del 2008). Cambia la cinetica della mandibola con
attivazione neuromuscolare. Durante la crescita e l’invecchiamento, muta la
capacità di adattamento dell’attività neuromuscolare alla consistenza del bolo
(“capacità di adattamento al carico”). I bimbi che presentano il morso
incrociato monolaterale posteriore hanno un pattern masticatorio inefficace, «è
necessario equilibrare la funzione il più precocemente possibile, ma non tutte
le apparecchiature correggono». Mostra uno studio americano su
apparecchiature fisse che forzano ma «la masticazione non recupera». Occorre
«un percorso logico e coerente dalla diagnosi alla terapia nel rispetto della
fisiologia». Uno studio condotto con la collaborazione del prof. Preti (2005)
mostra il periodo che intercorre tra una diagnosi di riabilitazione protesica
incongrua e pattern masticatori adeguati. La revisione sistematica del gruppo
della professoressa Piancino (2020) riguarda il ruolo protettivo della
masticazione in relazione a memoria e attività cognitiva. Studi su animali
permettono di confrontare alcune condizioni. La dieta molle o liquida non altera
l’occlusione, l’estrazione di denti masticanti in età precoce altera parzialmente

l’occlusione, il rialzo del morso (“bite raising”) altera gravemente l’occlusione.
Si calcola in 1500/2000 il numero di deglutizioni giornaliere. Deficit nella
masticazione causano la diminuzione del numero di neuroni piramidali (“Cornus
Ammonis”, regioni CA1, CA3), la diminuzione del numero di sinapsi, del BDNF
(Brain-derived neutrophic factor), la proliferazione gliale, una ridotta
neurogenesi nel giro dentale (DG), la diminuzione di trofismo dell’ippocampo.
Si registra un’alterazione fisiologica e istologica che oggettiva i dati clinici. La
zona subventricolare e l’ippocampo sono nicchie neurogenetiche delle “stem
cells” neurali. Tra gli studi comportamentali sugli animali in “agreement”
(accordo) cita un lavoro di Fukushima-Nakayama su 63 topi maschi di tre
settimane alimentati a dieta normale e in polvere (Journal of Dental Research).
Il femore non si differenzia tra i due gruppi, i muscoli mascellari sono molto
diversi, «gli animali che non masticano andavano incontro ad ipoplasia dei
mascellari». Uno studio pubblicato su Neuroscience Journal (2014) mostra
diversa concentrazione di BDNF nella corteccia frontale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Studi clinici sugli anziani dimostrano che in condizione di masticazione alterata
peggiora la memoria e l’attività cognitiva. Nella fase di sviluppo può
interessare le funzioni cognitive successive. Studi clinici in psichiatria
evidenziano che in condizioni di massima alterazione della masticazione si
slantentizzano disturbi psichiatrici e dipendenze. «Il ruolo protettivo della
masticazione potrebbe o ritardare l’insorgenza di patologie psichiatriche o
difendere dalle dipendenze». Gli stessi studi su animali citati in precedenza
notano che la dieta molle non crea stress, l’estrazione di denti crea uno stress
moderato, il “bite raising” crea uno stess importante (HDA). Lo stress si misura
come quantità di cortisolo e colchirolo prodotta da un fenomeno. Alcune
apparecchiature creano un aumento di ansia, sono causa di stress acuto e
vengono utilizzati in adolescenza! Maria Grazia Piancino riporta il caso di una
bimba di sei anni e otto mesi curata dai tre anni di età con il “bite raising”. Era
una bimba tranquilla ma dopo le sedute tirava calci nel sedile della macchina.
Si è proceduto a rimuovere i rialzi occlusali, si trattava di un morso incrociato
monolaterale posteriore. Non era un deficit dentale, bensì un deficit di crescita
ossea, un’ipoplasia del mascellare superiore.
All’estrazione di un dente nell’anziano corrisponde la diminuzione di numero di
neuroni, si accelera il processo di decadimento cognitivo o l’evoluzione di
malattie neurodegenerative. Chi soffre di Alzheimer ha venti denti in meno,
nell’anamnesi ricorre l’episodio drammatico con perdita di tutti i denti in età
giovanile (D. Cerutti-Kopplin, JDR, 2016). Vari studi (p. es. L. da Silva)
dimostrano il rapporto tra la quantità di denti e lo sviluppo di malattie neuro
degenerative, più che dei denti in sé si tratta del fatto che attraverso i denti
avviene la masticazione. Gli studi compiuti su come la masticazione stimoli la
neurogenesi si incentrano sull’effetto endocrino delle miochine. La
professoressa Piancino ha studiato la neprilisina (CD10), «una glicoproteina
metallo-endopeptidica». Si trova nell’ippocampo e nel trigemino e diminuisce

con l’età. Si ipotizza la migrazione di esosomi dal muscolo massetere
all’ippocampo via trigemino.
Un messaggio di prevenzione consiste nel preservare le arcate dentarie e
mantenere protesi adeguate, in tal mondo aumenta l’attività muscolare
durante la masticazione, «la capacità del protesista è fondamentale!». Il
messaggio si allarga alla politica, «la riabilitazione protesica della popolazione
consente di risparmiare», come prevenzione dal decadimento cognitivo.
Propone il concetto di “riserva in banca”, «una riserva di neuroni per
invecchiare in salute». Cita gli studi del paleoantropologo Ungar (“Evolutions’s
bite. A story of teeth, diet and human origins”, 2017), l’uomo ha la
caratteristica di adattarsi al cibo che l’ambiente offre. Come i Primati, amiamo i
cibi molli e dolci proposti dall’industria alimentare; è meglio nutrirsi di cibi
consistenti. La slide presenta un questionario (tra “cicles” e caramelle) studiato
insieme all’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (CN). Mostra ancora
due visi della stessa bambina di sei anni e mezzo, con morso incrociato
monolaterale posteriore. “E’ un’altra bambina!”, come dicono le mamme. Dal
volto velato di tristezza, si passa ad uno sguardo sereno. E’ in fase di avvio
una ricerca che valuta i bimbi prima e dopo la cura delle malocclusioni per
indagare lo sviluppo cognitivo. La ricerca è condivisa con altre Università che
esaminano bambini con patologie psichiche per esaminare alterazioni nella
masticazione ed in presenza di malocclusioni. In un lavoro di tesi di dottorato
si raffronta l’alterazione della masticazione con la postura e lo scarico del peso
sui piedi.
Nell’infanzia curare la masticazione permette di sviluppare le attività cognitive
al massimo delle potenzialità, in adolescenza si ritardano eventuali malattie
psichiatriche, nell’invecchiamento si ritarda il decadimento cognitivo. Nel
dibattito si pongono raffronti col bioma, con il movimento, con le apnee del
sonno, con le cefalee. Conclude il prof. Giancarlo Isaia, «ci ha aperto un mondo
su di un aspetto certamente non marginale!».
https://www.accademiadimedicina.unito.it/attivita/video/altri-eventi/459-12-
ottobre-il-ruolo-protettivo-masticazione-2.html

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