Accademia di Medicina di Torino: martedì 7 giugno alle ore 21 riunione scientifica su “Curare gli anziani non autosufficienti a casa”

di Piergiacomo Oderda

Martedì 7 giugno alle ore 21, l’Accademia di Medicina di Torino organizza una
riunione scientifica, sia in presenza, sia in modalità webinar, dal titolo “Curare
gli anziani non autosufficienti a casa”. L’incontro viene introdotto da Luigi Maria
Pernigotti, Primario Emerito di Geriatria e socio dell’Accademia di Medicina.
Alessandro Bombaci, medico neurologo, e la dottoressa Margherita Marchetti
dell’Associazione Amiche e Amici dell’Accademia (AAA) di Medicina di Torino ne
discutono con i geriatri Renata Marinello e Gianluca Isaia e con il Direttore del
Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale, Vincenzo Villari. Le conclusioni
sono a cura di Giulio Fornero, Direttore sanitario di “Camminare insieme”.
Aldo Primicerio di Quotidiano Medicina intervista il presidente dell’Accademia di
Medicina, Giancarlo Isaia, in particolare in relazione al documento “La cura dei
malati cronici non autosufficienti: criticità e proposte”
(https://www.accademiadimedicina.unito.it/attivita/altro/499-a-cura-dei-
malati-cronici-non-autosufficienti-criticit%C3%A0-e-proposte.html). La prima
regola consiste nel cambio di approccio con gli anziani, per una società in
continuo cambiamento, occorre che mutino anche i servizi.


Giancarlo Isaia sottolinea le grandi modificazioni strutturali a cui è andata
incontro la società italiana, «il numero di persone con più di 65 anni è
aumentato enormemente rispetto a cinquanta, cento anni fa». Cicerone aveva
cinquant’anni quando scriveva il “De Senectute” riferendosi a se stesso. «Non
ce ne accorgiamo ma tutti i giorni che passano aumenta anche se di poco la
quota di soggetti anziani». Per fortuna, la gran parte sta abbastanza bene ma
una percentuale non indifferente, un venti per cento, ha patologie, è fragile, ha
bisogno di assistenza e di un’organizzazione di servizi che va radicalmente
ripensata.
Primicerio riprende l’approccio “olistico” nel senso di «totale, complessivo, a
360 gradi». Chiede su cosa debbano formarsi medici, paramedici ed anche
“caregivers”. Il Presidente dell’Accademia di Medicina narra un aneddoto.
Trovatosi in un reparto dove la caposala suora aveva un’icona con l’invocazione
“Aiutami a curare il malato e non la malattia”, non riusciva a capire. «A me
hanno sempre insegnato a curare la malattia, arrivava il professore e diceva
“oggi parliamo di diabete, domani parliamo di…». Tale formazione settoriale e
schematica della medicina è stata superata dall’evoluzione demografica.
Adesso abbiamo dei pazienti diabetici che hanno ipertensione, ipertesi che
hanno cirrosi e così via. Medici, pazienti e “caregivers” devono curare i pazienti
tenendo conto di tutte queste patologie. Ogni patologia influisce sull’altra, i
farmaci somministrati per una possono creare danni per l’altra. E’ necessario
ripensare non soltanto la riorganizzazione delle cure ma soprattutto la
formazione degli operatori.

Il giornalista salernitano lamenta il fenomeno dilagante dell’assenza di medici
internisti ritenuti residuali, «abbiamo dimenticato la complessità e la globalità
del malato». Parla di federalismo regionale come autentico fallimento a livello
politico, economico, sociale. Occorre una riforma della sanità di tipo culturale
prima che strutturale. Il prof. Isaia ricorda le figure dei grandi clinici chirurghi
che avevano comunque in sé una conoscenza complessiva della medicina. La
frammentazione nelle specialità è stata dettata da esigenze culturali, «è
impensabile che un individuo solo segua tutto, ci sono migliaia di pubblicazioni
che escono tutti i giorni sui vari settori». La geriatria di cui si è occupato dopo
l’endocrinologia è ancora una branca che pone l’attenzione sulla complessità
del paziente. L’esigenza di poter seguire la letteratura del progresso scientifico
si è scontrata con il fatto che è mutato l’oggetto della nostra assistenza.
Occorre trovare un compromesso, servirebbe una “geriatrizzazione” della
medicina anche per quanto riguarda l’intervento di oculista, dentista, otorino.
Aldo Primicerio domanda quali siano i punti di svolta nel decalogo legato al
documento redatto dall’Accademia di Medicina. Giancarlo Isaia ricorda che si
tratta di regole basate sulla letteratura più che sul pensiero dei singoli
estensori del documento. E’ centrale la deospedalizzazione della società. Il
cittadino va in ospedale per qualsiasi problema ritenendo di ricevere risposte
migliori. In realtà, può incorrere in infezioni nosocomiali, cadute,
disorientamento, complicanze che lo possono portare ad un decesso per cause
diverse rispetto a quelle per cui era stato ricoverato. Va potenziato il territorio
e la pandemia ha dimostrato come il territorio sia stato lasciato allo sbando,
molti medici di famiglia hanno lasciato anche la vita. La telemedicina,
sperimentata a Torino qualche anno fa, dev’essere potenziata, così come
l’ospedalizzazione a domicilio, «la Sanità deve entrare nelle nostre case».
Il conduttore televisivo pone la questione tra cure domiciliari e la possibile
alternanza con l’ospedale per i casi più severi. Secondo il prof. Isaia, il paziente
con polmonite o problema infettivo si può lasciare a casa. Si possono eseguire
esami a domicilio, anche radiologici, si possono praticare iniezioni endovenose
di antibiotici. In situazioni di emergenza come nel caso di un’appendicite acuta
si ricorre all’ospedale. Stare a casa consente migliori “performances”, minori
costi e grandissima soddisfazione da parte del paziente.
Primicerio chiede di approfondire il tema dell’integrazione con il territorio.
Giancarlo Isaia propone un esempio concreto. Se il paziente a domicilio
assume un farmaco per la pressione, deve essere annotato in una cartella
informatizzata consultabile da qualsiasi medico pubblico, con la garanzia del
rispetto della privacy del paziente. L’ospedale deve conoscere le malattie del
paziente, i farmaci somministrati così come il territorio deve sapere cosa
accade in ospedale per quel medesimo paziente. I due mondi «stentano a

comprendersi». L’ospedale si avvale di medici dipendenti sui quali è possibile
intervenire anche a livello disciplinare se è il caso; sul territorio si parla di
medici convenzionati sui quali è difficile intervenire a livello normativo. Pur
nella volontà di gran parte dei medici di base di lavorare bene, manca
un’organizzazione tale che li possa garantire.
Il giornalista apre un “cahier de doléances” sugli impiegati ASL che non
rispondono al telefono o parlano in modo scorbutico. «Il cittadino si sente
trascurato, occorre una Sanità meno aziendalizzata». Giancarlo Isaia porta
l’attenzione sull’anziano in RSA, struttura a carico del sistema sociale. L’ospite
paga una retta, se non può interviene il Comune. E’ organizzata come un
albergo, quando il paziente si ammala non riceve risposte adeguate a motivo
della ridotta componente infermieristica e della quasi assenza della
componente medica. Va chiarita anche l’integrazione tra sistema sanitario e
sociale, «l’anziano non autosufficiente è un malato e va trattato come tale». Si
rischia di assistere al paradosso che un infartuato venga curato benissimo,
assai più di un paziente di Alzheimer. Si istituiscono iniquità tra i cittadini,
accentuati dalla differenza sociale, le classi più povere hanno meno possibilità
di accedere alle cure.
Si potrà seguire l’incontro sia accedendo all’Aula Magna dell’Accademia di
Medicina di Torino (via Po 18, Torino), sia collegandosi da remoto al sito
www.accademiadimedicina.unito.it.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *